Schegge di Vietnam nelle novelle di Phan Huy Duong
Tesi, Università Turino
Isabelle Binel
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Indice
- Introduzione
- Prospetto storico
§ L’epoca precoloniale
§ La colonizzazione francese
§ Dalla dominazione giapponese alla Guerra d’Indocina
§ L’intervento americano
§ Dal dopoguerra ad oggi
- La letteratura del Vietnam
§ L’epoca pre-coloniale
§ L’epoca coloniale
§ L’epoca post-coloniale
- Francofonia e autori francofoni
§ La francofonia in Vietnam
§ Scrittori francofoni in Vietnam
§ Gli autori della diaspora
- Un amour métèque: un esempio di scrittura della diaspora
§ Phan Huy Duong
§ Struttura e contenuti dell’opera
§ Vietnam e Occidente: due culture a confronto
§ Una scrittura dell’esilio
§ La narrazione autobiografica
- Entretien avec Phan Huy Duong
Introduzione
Durante lo scorso anno accademico all’interno del corso di Letterature Francofone si è avuto modo di seguire un seminario dal titolo Genere, cultura e società in Vietnam tenuto da Sandra Scagliotti. La scelta dell’argomento di questa tesi nasce dall’approccio, nel corso di questo seminario, alla letteratura vietnamita della diaspora.
La complessità e la vastità di tale soggetto hanno fatto sì che come tema di questo elaborato si preferisse occuparsi dell’opera di un solo autore. La scelta è ricaduta su Phan Huy Duong, la cui opera ci è sembrata di particolare interesse in quanto affronta alcune delle tematiche più attuali e pressanti della letteratura della dispora con uno stile elegante, estremamente curato, ricco di toni e sfumature sempre nuovi. Sebbene Phan Huy Duong sia anche scrittore in lingua vietnamita, filosofo e traduttore, questa tesi si limiterà a studiare la raccolta di novelle Un Amour métèque, unica opera letteraria in francese finora pubblicata dall’autore.
Considerata la scarsa conoscenza della realtà culturale vietnamita nel nostro Paese, si è ritenuto necessario fornire una breve panoramica della storia e della letteratura del Vietnam, oltre a contestualizzare la francofonia e la produzione letteraria francofona in questo Paese. Nella seconda parte della tesi sarà invece considerata l’opera Un amour métèque. Si è tentato di analizzare le tre novelle che che compongono la raccolta nel contesto della letteratura vietnamita francofona della diaspora, mettendo in luce gli aspetti tematici e formali che si riscontrano anche in altri autori dell’esilio.
Già da un primo approccio alla storia, alla cultura e alla letteratura vietnamita ci si è resi conto della carenza di studi esaustivi in tale ambito. Per quanto riguarda l’aspetto storico-letterario si è potuto constatare, ad esempio, che molte opere si fermano all’epoca della fine della guerra con gli Stati Uniti, tralasciando l’ultimo trentennio. Anche nell’ambito della letteratura di espressione francese, contrariamente alle letterature di altri Paesi del réseau francophone che possono vantare un’abbondante bibliografia critica, la produzione vietnamita è stata finora piuttosto trascurata. Di conseguenza si sono incontrate non poche difficoltà nel reperire il materiale necessario.
Per quanto riguarda i capitoli introduttivi sulla storia, la letteratura e la francofonia in Vietnam la principale fonte di ricerca per il reperimento del materiale bibliografico è stata il Centro di Studi Vietnamiti di Torino. Quest’associazione culturale, nata nel 1992, promuove iniziative quali pubblicazioni, seminari e conferenze al fine di divulgare la conoscenza della storia e della cultura vietnamita in Italia. Un altro strumento di cui ci si è avvalsi è una tesi di dottorato intitolata Un richiamo infinito: la narrativa vietnamita francofona fra patria e diaspora, realizzata da Emanuela Giudetti presso l’Università degli Studi di Bologna. Questo elaborato è stato un utile supporto per reperire indicazioni bibliografiche sulla letteratura francofona vietnamita.
Sull’opera di Phan Huy Duong attualmente non è ancora stato pubblicato alcuno studio critico. Ci si è dunque avvalsi soltanto di pochi articoli e interviste, per la maggior parte reperibili sul sito internet dell’autore. Inoltre ci si è messi in contatto, tramite posta elettronica, con l’autore stesso al quale è stata fatta una breve intervista.
Prospetto storico
L’epoca precoloniale
Il Vietnam è stato da sempre oggetto di invasioni e colonizzazioni. La dominazione più antica e significativa è stata certamente quella cinese, iniziata nel primo secolo a.C.. Molti elementi della cultura vietnamita derivano dalla tradizione cinese, ad esempio le dottrine confuciana, taoista e buddista o il sistema di scrittura ideografica. Tuttavia il popolo vietnamita ha sempre saputo mantenere una propria identità nazionale, preservando caratteristiche autonome quali la lingua o particolari forme di espressione artistica.
Il Vietnam divenne per la prima volta uno stato indipendente nel 939 d.C. . Durante il XV secolo il territorio fu nuovamente invaso, questa volta dai Mongoli, il cui dominio si potrasse per un ventennio. La guerra di liberazione nazionale si concluse con l’affermazione della dinastia Lê, che governò il paese fino al 1789. Tutto il XVIII secolo è segnato da grandi insurrezioni contadine che crearono una condizione propizia allo scoppio di una guerra intestina fra le famiglie Trinh e Nguyên e alla conseguente divisione del paese in due parti. Entrambi i governi vennero rovesciati dall’insurrezone dei fratelli Tay Son e nel 1802 il Vietnam fu riunificato sotto la dinastia Nguyên, che sarà l’ultima dinastia reale vietnamita.
Nel XVII secolo i primi missionari (principalmete gesuiti portoghesi) si insediarono nel sud del Vietnam. Gradualmente i cattolici assunsero un ruolo sempre maggiore nel paese e alla fine del Settecento i missionari francesi giunsero ad avere una certa influenza sulla politica locale. Nei primi anni del XIX secolo, dopo un periodo di crisi e instabilità, prese avvio un processo di centralizzazione e di ricostruzione dello stato sulla base della morale confuciana. Aumentò così l’ostilità verso gli Europei e in particolare verso i Cattolici contro cui vennero presi drastici provvedimenti repressivi. In seguito a queste persecuzioni i missionari iniziarono a sostenere la possibilità di un intervento occidentale in Vietnam. La Francia, proprio in questo periodo, iniziava ad interessarsi all’Asia Orientale. Gli ambienti industriali e mercantili erano ansiosi di affacciarsi al promettente mercato asiatico, mentre la Marina vedeva nell’intervento in Indocina una via per acquisire prestigio e potere.
La colonizzazione francese
Nel 1858 la flotta francese attaccava la Cocincina, ottenendo qualche anno dopo alcune province, un’indennità e la libertà di culto: era l’inizio della colonizzazione. La presenza francese aggravava l’instabilità del paese, già attraversato da tensioni sociali, economiche e politiche. Carestie, povertà rurale, anarchia amministrativa e disordini interni portarono al declino dell’élite mandarinale e della dinastia Nguyên. Negli anni Ottanta la Francia iniziò a conquistare territori sempre più vasti. La monarchia vietnamita fu asservita alla potenza coloniale nel 1885.
La colonizzazione fu ostacolata da moti di resistenza, spesso con caratteristiche fortemente anticristiane, su gran parte del territorio nazionale. Ma nonostante le rivolte e la difficile situazione economica del protettorato i francesi riuscirono verso la fine dell’Ottocento a organizzare l’amministrazione coloniale e a istituire un sistema di istruzione in lingua francese. Fu costruito un apparato centralizzato e alle istituzioni tradizionali fu tolta ogni funzione amministrativa, mantendole con un ruolo puramente simbolico. La profonda trasformazione economica prevedeva un ampliamento delle imposte dirette e l’introduzione di monopoli (principalmente del sale, dell’alcol e dell’oppio). Queste trasformazioni, che fecero dell’Indocina una delle colonie più redditizie del sistema imperialistico francese, colpivano però duramente i ceti inferiori e la popolazione rurale.
La Francia voleva realizzare in Vietnam un progetto di “mise en valeur” che portasse a una crescita produttiva e a un modello economico di tipo capitalistico. La colonia fu inserita in un circuito commerciale moderno fondato principalmente sull’esportazione dei prodotti tratti da piantagioni e miniere. L’agricoltura estensiva produceva caffè, tè, pepe e hevea (dal cui lattice si estraeva la gomma naturale). Per favorire il commercio furono realizzate reti ferroviarie e stradali oltre a varie infrastrutture moderne come linee elettriche e telegrafiche. La mise en valeur, tuttavia, aveva causato un peggioramento generale delle condizioni di vita nelle campagne a causa delle espropriazioni di vaste aree agricole.
È proprio nelle zone rurali, infatti, che le trasformazioni socio-economiche derivate dalla colonizzazione furono maggiormente avvertite. La crescente frammentazione della terra, unita alla pressione demografica, provocò un aumento della povertà rurale e della dipendenza dei contadini, che spesso si riducevano alla condizione di mezzadri o affittuari. Effetti sociali profondi, tuttavia, si ebbero anche nelle città, dove si creò una società stratificata che separava nettamente i colonizzatori dalla popolazione locale. Inoltre nacquero nuovi ceti sociali: ad esempio si sviluppò un proletariato moderno e una piccola borghesia vietnamita di impiegati, segretari o interpreti. Oltre che sulla realtà sociale ed economica l’esperienza coloniale agì profondamente sulla cultura vietnamita apportandovi influenze occidentali. Un ruolo significativo ebbero le scuole “ franco-annamite”, istituite già nel 1879, dove venivano insegnati il francese, alcuni rudimenti della cultura occidentale e il quôc ngũ (una trascrizione in alfabeto latino della lingua vietnamita). Progressivamente nuovi comportamenti e costumi, nonché un nuovo modo di pensare, spesso in contrasto con la tradizione confuciana, si diffusero in Vietnam. La cultura occidentale influì profondamente anche sulla letteratura nazionale. Fu in questo periodo, infatti, che si affermò in Vietnam il romanzo moderno, caratterizzato da un sostanziale rinnovamento di contenuti ma anche linguistico e formale.
Dopo la colonizzazione, il Vietnam si trovò alle prese con una crisi sia dell’élite intellettuale che della monarchia, entrambe profondamente legate ai valori tradizionali confuciani, ormai in declino. La crisi, tuttavia, diede vita ad un nuovo fermento culturale al quale contribuì anche il modello del rinnovamento politico e culturale cinese di quegli anni. In questo contesto iniziò a delinersi un progetto politico innovativo attorno alla costituzione di uno stato vietnamita indipendente e moderno, non più legato alla tradizionale monarchia. Attorno al 1908 ci fu un periodo di forti tensioni in varie province vietnamite. Manifestazioni e agitazioni, talvolta anche a carattere violento, indussero una spietata repressione che colpì metodicamente soprattutto i membri del nascente movimento nazionalista. I tentativi insurrezionali di quegli anni, sebbene annientati facilmente dalle autorità coloniali, contribuirono ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica francese sulla situazione del Vietnam e la stampa socialista iniziò a criticare la politica coloniale in Indocina. D’altra parte l’opposizione all’amministrazione francese non era univoca. Nguyên Van Vinh, ad esempio, fu uno dei maggiori sostenitori del governo diretto della Francia e dell’occidentalizzazione del paese.
Le tensioni insurrezionali si erano affievolite dopo la Prima guerra mondiale, ma nei primi anni Venti si affermò una nuova generazione di intellettuali, meno legati alla cultura tradizionale e influenzati dalle tendenze culturali europee e cinesi. Comparvero nuove formazioni politiche, tra cui il Partito Nazionalista Vietnamita, che erano però fragili e disorganizzate, incapaci di superare le differenze regionali e quindi destinate al fallimento. In Cocincina, più che questi movimenti politici, si diffusero particolari forme di aggregazione popolare, spesso con connotati magici o religiosi. Tra queste sette la principale, quella del Cao Dai, si diffuse a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. Il caodaismo univa elementi della tradizione popolare indigena a influenze derivanti da varie religioni e anche da un patrimonio culturale tipicamente francese (si pensi che oltre a Buddha, Cristo e Confucio era considerato un santo anche Victor Hugo).
Negli anni Venti si stava affacciando alla scena politica vietnamita il giovane Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Dopo aver vissuto vari anni in Europa, si avvicinò al Partito socialista francese, che mostrava un certo interesse per la questione coloniale. Tuttavia la sinistra francese era maggiormente concentrata sullo scenario europeo, mentre in quegli anni l’Internazionale comunista orientava la propria strategia verso la Cina e l’Asia Orientale. Tali considerazioni spinsero Nguyen Ai Quoc a trasferirsi a Mosca, dove lavorò per il Comintern, e poi a Canton, dove nel 1925 fondò l’Associazione della gioventù rivoluzionaria vietnamita. Durante la fase iniziale di proselitismo Nguyen Ai Quoc fu attento a diffondere in Vietnam i principi del marxismo e leninismo, affiancandoli a quelli, già più radicati, del nazionalismo. La sua attività fu però ostacolata dalla rottura dell’alleanza tra Guomindang e comunisti sovietici, che aveva costretto Nguyen ai Quoc a fuggire da Canton, lasciando la Than Nien priva di direzione centrale; dopodiché l’organizzazione si sciolse nel 1929. Contemporaneamente nascevano tre partiti comunisti, tra cui il Partito Comunista indocinese, inizialmente in contrasto tra loro ma che si unificarono nel 1930. La diffusione del nuovo partito fu favorita dalla crisi economica e dall’aggravamento delle condizioni sociali che causarono proteste popolari e scioperi su tutto il territorio nazionale. La durissima repressione francese colpì prevalentemente i Comunisti e indebolì sensibilmente la struttura del partito, che mantenne però alcune basi nei bagni penitenziari dove svolsero con successo l’attività di proselitismo.
La crisi del movimento comunista nei primi anni Trenta favorì la formazione di fazioni opposte nelle diverse regioni. Uno tra i gruppi che si affermarono in questo periodo fu quello de La Lutte, che diventò un elemento politico importante a Saigon e in Cocincina. Nel 1935 l’affermazione in Francia del Fronte Popolare accese le speranze dei Vietnamiti che auspicavano una riforma del sistema coloniale. Non vi fu, in realtà, una vera svolta, anche se vennero presi alcuni importanti provvedimenti: ad esempio fu varato un decreto che regolamentava il lavoro in Indocina.
Dalla dominazione giapponese alla Guerra d’Indocina
Nel 1941 il Giappone, dopo aver occupato gran parte della Cina, invadeva l’Indocina. Il governo francese era da poco crollato sotto l’offensiva tedesca e si trovava nell’impossibilità di affrontare l’aggressione nipponica. La presenza del Giappone non ebbe dunque alcun ostacolo. Tuttavia essa non si concretizzò in un controllo diretto e l’amministrazione francese fu in buona parte mantenuta in una situazione che fu paragonata ad un “condomio franco-nipponico”. Vennero però interrotte le relazioni commerciali con la Francia, mentre furono privilegiate quelle con il Giappone.
In questa situazione di crisi le attività anticoloniali dei Comunisti ripresero con maggiore intensità. Nguyen Ai Quoc, riabilitato dopo un periodo di isolamento politico, adottò il nome di Ho Chi Minh e rientrò in Vietnam per assumere un ruolo di primo piano nella causa dell’indipendenza vietnamita. Nel 1941 fu fondata la Lega per l’indipendenza del Vietnam, nota come Viet Minh, che aveva come obiettivo la creazione di uno stato nazionale vietnamita indipendente, mentre poneva in secondo piano le istanze sociali e di classe.
Col progredire del conflitto la coesistenza franco-nipponica in Vietnam diventò sempre più complessa, finché nel 1944 un colpo di mano giapponese mise fine all’amministrazione francese con il sostegno dell’imperatore Bao Dai. L’anno successivo, quando il Giappone fu costretto alla resa, si aprì in Indocina un vuoto di potere. Era un’occasione imperdibile per il Viet Minh, che non tardò ad organizzare l’insurrezione del paese dando vita alla “Rivoluzione d’agosto”. Il 2 settembre l’imperatore Bao Dai abdicò e Ho Chi Minh proclamò l’indipendenza e la nascita della Repubblica democratica del Vietnam.
Negli accordi che segnarono la fine della guerra le grandi potenze avevano stabilito di dividere il Vietnam in due parti separate dal 16° parallelo e governate dalla Cina a nord e dalla Gran Bretagna a sud. Pochi giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza le truppe inglesi, entrate a Saigon, estromettevano il Viet Minh dal potere riducendo il Comitato rivoluzionario alla clandestinità. Il 23 settembre la Francia scatenava una guerra di riconquista con il sostegno inglese e, in breve, a sud del 16° parallelo fu reinstaurata l’amministrazione coloniale francese. La Cina scelse di accordarsi con la Francia e, in cambio di concessisoni economiche, lasciò il Tonchino.
Il Comitato per il sud diede inizio alla guerriglia, mentre a nord Ho Chi Minh tentava di negoziare per ottenere il riconoscimento della Repubblica democratica del Vietnam. Sebbene la Francia avesse inizialmente mostrato segni di apertura, presto la situazione degenerò e nel 1946 iniziò l’offensiva francese. Negli anni seguenti, con l’intensificarsi della guerra fredda, l’interesse americano per l’area indocinese aumentò e gli Stati Uniti inviarono aiuti sempre più consistenti alla Francia. Le richieste di aiuto francesi rimasero però inascoltate al momento della battaglia di Dien Bien Phu. Le forze del generale Giap annientarono l’esercito francese il 7 maggio 1954. La conferenza di Ginevra stabiliva una linea di separazione temporanea lungo il 17° parallelo fino alle elezioni che avrebbero riunificato il paese. Nel Vietnam del sud, che ormai faceva parte della sfera d’influenza americana, fu nominato primo ministro Ngo Dinh Diem.
L’intervento americano
La reazione di Washington alle vicende indocinesi era stata contradditoria già dal termine della Seconda guerra mondiale. Inizialmente gli Stati Uniti si erano dichiarati contrari alla riconquista francese del Vietnam e l’Office of Strategic Services aveva collaborato con il Viet Minh. In breve, però, optarono per il sostegno della Francia e l’opposizione al comunismo di Ho Chi Minh. Dopo la sconfitta francese, gli Americani si apprestavano a diventare la potenza dominante in Indocina. Gli Stati Uniti ostacolarono le elezioni e la riunificazione del Vietnam mentre tentavano di limitare l’influenza comunista a sud del 17° parallelo.
Dopo il 1960 il crescente malcontento per il governo di Diem sfociò nella formazione del Fronte di Liberazione Nazionale, un’organizzazione che agiva secondo le direttive di Hanoi, ormai decisa a riunificare il paese anche con la forza. Gli Stati Uniti erano sempre più preoccupati da un’eventuale vittoria comunista in Vietnam. L’amministrazione Kennedy avviò un programma di “controinsurrezione” creando villaggi strategici e addestrando l’esercito sudvietnamita. La presenza di militari americani sul territorio, inoltre, continuò ad aumentare. A un’insurrezione popolare contro Diem, nell’estate del 1963, si susseguirono due colpi di stato nel giro di pochi mesi. A Washington si iniziava a valutare la possibilità di un intervento su lunga scala anche nel Vietnam del nord. Il consenso a tale strategia divenne unanime nel 1964, in seguito all’incidente del Tonchino in cui un cacciatorpediniere americano era stato attaccato da navi nordvietnamite. Fu l’inizio della Guerra del Vietnam.
L’offensiva si basava principalmente sui bombardamenti arei e sull’impiego di erbicidi e defoglianti che colpivano indiscriminatamente obiettivi militari e civili. Spesso la popolazione rurale era costretta a rifugiarsi nelle città, congestionando le aree urbane in cui si andavano diffondendo droga, prostituzione e criminalità. Intanto il FLN convalidava le sue posizioni ed otteneva un consenso sempre più vasto. Tra il 1967 e il 1968 i Vietcong lanciarono l’offensiva del Tet. Sebbene questa non si sia risolta in una definitiva vittoria, la sua risonanza a livello internazionale contribuì significativamente a scuotere l’opinione pubblica. Le speranze di Washington di vincere la guerra erano ormai svanite e si aprivano i colloqui di pace a Parigi. Gli Stati Uniti, però, erano decisi ad assicurare la sopravvivenza del regime sudvietnamita. Nixon, rifiutando una ritirata vergognosa, ampliò la guerra all’intera Indocina e aumentò il contingente delle truppe sudvietnamite. Soltanto nel 1973 furono infine firmati gli Accordi di Parigi che prevedevano il ritiro delle forze americane e la riunificazione del paese. Tuttavia al sud il regime di Nguyen Van Thieu non aveva cessato le ostilità verso i Vietcong. Le unità nordvietnamite intervenirono con una poderosa offensiva a partire dal 1974. La guerra terminava definitivamente il 30 aprile 1975 con la caduta di Saigon.
Dal dopoguerra ad oggi
Dopo anni di lotta il Vietnam aveva finalemente ottenuto la pace e l’indipendenza. Le conseguenze dei conflitti, tuttavia, si sarebbero manifestate ancora a lungo. Il bilancio della guerra era spaventoso: a circa 1.500.000 caduti si aggiungevano i mutilati e coloro che erano stati colpiti da infermità o malformazioni generate da prodotti chimici tossici. Le condizioni di vita erano disastrose sia nelle città che nelle aree rurali. I primi provvedimenti del nuovo governo nazionale miravano all’approvvigionamento delle città, rimaste prive anche dei beni di prima necessità, e a garantirne la sicurezza. Si procedette poi all’effettiva riunificazione del paese, che adottò il nome di Repubblica Socialista del Vietnam, e all’elezione dell’Assemblea nazionale. Durante il IV° congresso del Partito dei Lavoratori (che poi cambiò nome in Partito comunista del Vietnam) furono tracciate le linee guida dello sviluppo economico per gli anni seguenti.
Alle difficoltà incontrate nel processo di ricostruzione si aggiunsero i rapporti conflittuali con Cina e Cambogia. Dal 1977 il regime di Pol Pot, con il sostegno di Pechino, aveva iniziato ad attaccare i villaggi vietnamiti lungo la frontiera e conduceva una campagna di propaganda antivietnamita. Incidenti di confine iniziarono a verificarsi anche con la Cina. Questa situazione degenerò nell’occupazione di Phnom Penh da parte dei vietnamiti e delle forze del FUNSK (Fronte di Unione Nazionale per la Salvezza della Cambogia) e nel successivo attacco cinese al Vietnam.
Nel frattempo, comunque, il Vietnam aveva allacciato rapporti internazionali con la maggioranza degli stati esteri ed aderito all’UNESCO, all’ONU e al COMECON. Il decennio dal 1975 al 1985 costituì una fase di collettivizzazione del sistema produttivo nazionale e di pianificazione centralizzata. I risultati, globalmente, non furono molto incoraggianti e presto si rivelò necessario introdurre riforme che favorissero una decisa ripresa economica. Nei primi anni Ottanta, nonostante i problemi economici fossero ancora irrisolti, il Vietnam aveva registrato notevoli progressi, ad esempio nei campi dell’istruzione e della sanità.
Il periodo successivo fu caratterizzato dalla politica del Doi Moi (cioè “rinnovamento”), che aprì un periodo di transizione per il Vietnam. Furono varate nuove leggi, come quelle sugli investimenti stranieri, la commercializzazione della produzione, la questione agraria e le imprese private. Grazie al nuovo segretario generale Van Linh il Doi Moi si estese anche all’ambito culturale. Artisti e intellettuali furono invitati a esprimersi liberamente denunciando i problemi della società. Sebbene in questo campo le fasi di apertura si siano susseguite a periodi di censura, iniziò un intenso dibattito nell’intero paese. In particolare le opere degli autori della generazione senza compromessi scatenarono polemiche e discussioni.
La risposta a questa svolta “liberista” fu positiva e nel decennio successivo la struttura produttiva del Vietnam conobbe una crescita intensa. Nel periodo dal 1992 al 1997 la crescita economica del Vietnam ha raggiunto l’incoraggiante risultato del 9% annuo. A questo sviluppo hanno contribuito il termine dell’embargo commerciale, che penalizzava il paese sin dal 1975, e la normalizzaizone delle relazioni con gli Stati Uniti. La crisi asiatica alla fine degli anni Novanta ha determinato un periodo di rallentamento della crescita economica, ma già nel 2000 si registrava una ripresa, anche grazie alla nuova risorsa del turismo. Sembra, dunque, che il Vietnam di oggi stia avanzando verso una crescente prosperità economica. Permangono, comunque, problemi sociali, politici e culturali ancora irrisolti. Per gli anni a venire alcuni tra i principali obiettivi del PCV sono l’incremento della cooperazione economica internazionale, il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e delle minoranze etniche, la riforma amministrativa, la lotta contro la corruzione e l’inefficienza dei quadri di partito[1].
La letteraturatura vietnamita
L’epoca pre-coloniale
La specificità e la ricchezza che contraddistinguono la letteratura vietnamita, che è tra le più interessanti del Sud-est asiatico, derivano da una cultura capace di fondere armoniosamente gli apporti eterogenei dei popoli dominatori pur preservando la propria integrità culturale. Anticamente, gli elementi che influirono in modo più significativo sul contesto culturale vietnamita furono le dottrine confuciana, taoista e buddista, importate dai dominatori cinesi. A queste si sovrapposero prima il Cristianesimo, dal XVII secolo, e successivamente il Caodaismo, sino a creare quel pluralismo religioso che caratterizza il Vietnam di oggi. Le influenze culturali esterne si moltiplicarono ed ebbero un peso sempre più determinante a partire dall’epoca coloniale, quando il Vietnam si trovò a contatto con la cultura occidentale.
Prima del X secolo la lettteratura vietnamita aveva un carattere popolare e si esprimeva esclusivamente in forma orale. Questa produzione era composta da leggende, racconti, canzoni, proverbi e dai ca dao, anonime poesie popolari trasmesse di generazione in generazione. Tutte queste forme tradizionali davano voce ai sentimenti di una civiltà contadina da sempre costretta a difendersi dalle calamità naturali e dalle invasioni straniere. Questa condizione si rispecchia in molti racconti e leggende in cui è evidente un forte senso di appartenenza ad una comunità etnica coesa, benché all’epoca della loro composizione non esistesse ancora una nazione vietnamita. La letteratura orale fu a lungo il solo mezzo di espressione della popolazione rurale vietnamita, soggiogata dalla rigida dominazione cinese, ed è quindi un’importante testimonianza sulla realtà del Vietnam dei primi secoli.
Dal X secolo si sviluppò, parallelamente a quella popolare, una letteratura aulica scritta in cinese classico, che era stato imposto come lingua ufficiale. I primi ad utilizzare gli ideogrammi cinesi furono i bonzi, che realizzavano componimenti ispirati alla dottrina buddista, a cui si aggiunsero, nell’XI secolo, i letterati confuciani. La produzione in caratteri cinesi, detti chũ hán o semplicemente hán, è prevalentemente poetica e ricca di elementi derivanti dalla tradizione culturale e letteraria cinese. Tra i primi scritti in prosa troviamo testi di grande interesse per le informazioni contenute sul Vietnam dell’epoca (si tratta soprattutto di scritti amministrativi e opere storiche). Nel tempo la letteratura aulica assunse contenuti maggiormente legati alla situazione storico-sociale e iniziò a essere permeata dall’ardore patriottico e dal desiderio di indipendenza e libertà.
Alla fine del XIII secolo risalgono i primi testi scritti in nôm, un sistema di trascrizione della lingua vietnamita in ideogrammi simili a quelli cinesi. La produzione letteraria in nôm si affiancò gradualmente a quella in cinese, che permase però a lungo come espressione della cultura ufficiale, mentre il nuovo sistema di scrittura si legò alla cultura popolare esprimendo spesso il patriottismo e l’opposizione agli invasori stranieri.
Nel XVI secolo vi fu un periodo di crisi politica, sociale ed economica che insieme alla corruzione e all’opportunismo della corte indusse gli intellettuali a estranearsi dagli affari pubblici e a trascurare nelle loro opere le questioni socio-politiche. Alcuni letterati iniziarono a criticare il regime, altri si ritirarono alla vita privata rinunciando definitivamente all’engagement. Durante il secolo successivo un lungo periodo di pace e la lungimiranza di alcuni sovrani favorirono, invece, lo sviluppo della letteratura e la nascita di nuovi generi quali la storiografia e i trattati scientifici.
La scrittura nôm si affermò definitivamente tra il XVIII e il XIX secolo, mentre i caratteri hán vennero progressivamente abbandonati. Anche i contenuti iniziarono a differenziarsi rispetto a quelli della letteratura aulica. Il genere più diffuso divenne il romanzo in versi, che dava voce ai sentimenti popolari e non di rado criticava le élite mandarinali. Temi come l’aspirazione alla giustizia e l’oppressione dei contadini da parte dei potenti rispondevano bene alle aspettative del popolo, che in quel periodo stava organizzando una serie di rivolte. Oltre alle rivendicazioni sociali il romanzo in versi aveva spesso come soggetto l’aspirazione alla felicità e alla libertà di amare, percepite come contrapposte alla rigida morale confuciana. La più nota e apprezzata tra queste opere è il Kim-Vân-Kiêu di Nguyên Du, dei primi anni dell’Ottocento. Questo lungo poema in nôm, spesso chiamato samplicemente Kiêu, ebbe una fortuna straordinaria e si diffuse rapidamente in tutto il paese. La trama è incentrata sulle disavventure della giovane Kiêu che dopo essere stata venduta a uomini crudeli che ne fanno una schiava e una concubina è riscattata da un generale ribelle, il quale la proclama regina e punisce coloro che l’avevano tenuta prigioniera. Alla morte del generale, Kieu torna alla sua famiglia e ritrova il suo primo amore Kim. Questo romanzo presenta molti elementi innovativi, ad esempio denuncia l’oppressione di un sistema feudale corrotto, critica mercanti e mandarini senza scrupoli e si oppone a consutudini come quella secondo cui una donna doveva rimanere fedele al marito anche dopo la morte di lui.
L’epoca coloniale
La colonizzazione francese ha per molti aspetti rivoluzionato la cultura e le tradizioni vietnamite. La riforma dell’amministrazione e del sistema scolastico ha portato all’affermazione del quôc ngũ, un sistema di rappresentazione fonetica che si è sostituito ai caratteri nôm, mentre le idee occidentali si diffondevano gradualmente aprendo il Vietnam alla modernizzazione.
Il quôc ngũ è un sistema di trascrizione della lingua vietnamita per mezzo dell’alfabeto latino. Fu ideato da Alexandre de Rhodes, un missionario gesuita francese, al fine di favorire l’evangelizzazione. Inizialmente, però, soltanto le comunità cattoliche utilizzarono il quôc ngũ mentre la monarchia e gli intellettuali confuciani lo ostacolarono, vedendo in questo sistema di trascrizione un mezzo degli stranieri invasori. Fu solo a partire dall’epoca coloniale, dunque, che esso si diffuse in tutto il paese perché imposto come lingua ufficiale dai francesi. Tuttavia da questo momento gli stessi letterati vietnamiti (perlomeno quelli più progressisti) decisero di utilizzare il quôc ngũ. In effetti la scrittura alfabetica presentava il vantaggio di essere molto più semplice da apprendere rispetto a quella ideografica. Il suo utilizzo, dunque, avrebbe potuto favorire l’alfabetizzazione del popolo.
Dai primi anni della colonizzazione alla fine del XIX secolo la letteratura vietnamita ebbe essenzialmente un carattere patriottico. Dal punto di vista formale le opere di questo periodo sono poco innovative e continuano la tradizione letteraria. I contenuti, invece, sono fortemente influenzati dagli eventi di quegli anni. Per la maggioranza i testi sono ispirati alla lotta contro i francesi e tra gli autori più significativi si trovano diversi dirigenti del movimento di resistenza. Un motivo ricorrente in questa produzione è la fierezza di combattere per la patria e il rifiuto di vivere nella vergogna servendo il nemico. Gli intellettuali si trovano a dover scegliere tra conformarsi all’ortodossia confuciana, obbedendo al monarca, e continuare la resistenza a fianco del popolo. Tale situazione «conduit peu à peu les lettrés vers une conception plus large du patriotisme, la patrie, la nation n’étant plus liée à la personne du roi, mais au destin du peuple»[2] . Una tra le figure letterarie principali di questo periodo è Nguyên Dinh Chieu, classico esempio di scrittore patriota che tenta di difendere la patria anche attraverso le sue opere.
La colonizzazione francese si riflette anche nei canti popolari, che raccontano i combattimenti dei guerriglieri, criticano gli abusi del regime coloniale e deridono l’ipocrisia dei mandarini, venduti al nemico.
I profondi cambiamenti portati dall’amministrazione francese iniziarono gradualmente a ripercuotersi anche sulla letteratura e crearono le condizioni propizie alla nascita di nuovi generi. Dal 1900 in poi iniziarono a circolare, attraverso traduzioni cinesi, i classici francesi del XVIII secolo e nuove idee si diffusero tra gli intellettuali. La letteratura continuò a essere prevalentemente di genere patriottico ma con alcune novità stilistiche che lasciavano presagire una crisi del formalismo tradizionale. Un importante elemento innovativo fu la comparsa in Vietnam di giornali e pubblicazioni periodiche. Nonostante in un primo periodo la stampa fosse controllata esclusivamente dall’amministrazione coloniale, a partire dagli anni Venti iniziarono a comparire pubblicaizoni autonome, sebbene soggette alla censura. Nguyen Khac Vien e Huu Ngoc sottolineano la rilevanza di tale fenomeno affermando che « on peut dire que la prose vietnamienne est née avec le 20e siècle, d’abord avec le journalisme»[3]. È infatti proprio in questo periodo che si assiste alla nascita di due nuovi generi: il romanzo in prosa e la novella. Tra i primi romanzieri i più noti sono Ho Bien Chanh e Hoang Ngoc Phach. Il primo descrisse nelle sue opere la società del Sud sotto il regime coloniale, il secondo è autore del romanzo To Tam, tragica storia di due giovani innamorati che esprime una prima protesta contro l’usanza di sposare le donne a un uomo scelto dalla famiglia, anche senza l’approvazione della giovane.
Un altro elemento di innovazione è costituito, negli anni Trenta, dai primi di scritti di Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh, i cui contenuti rivoluzionari ebbero grande risonanza in Vietnam.
Il periodo compreso tra i primi anni Trenta e la Seconda guerra mondiale fu caratterizzato da una rapida successione di eventi (tra cui la crisi economica, l’occupazione nipponica, la nascita del Partito Comunista) che contribuirono, in ambito letterario, a accelerare il processo di modernizzazione avviatosi nei decenni precedenti. Le correnti principali di questi anni sono il movimento romantico, la poesia rivoluzionaria e il romanzo realista. La corrente romantica è costituita principalmente da autori della piccola borghesia che, di fronte all’inasprimento della repressione coloniale, scelgono di rinunciare all’engagement preferendo temi quali la rivolta dell’individuo di fronte alle tradizionali usanze di tipo feudale, la nostalgia del passato, la melanconia nata dall’osservazione della natura. In realtà, però, i poeti di questo periodo si ispirano ampiamente a vari movimenti della letteratura francese, non soltanto agli autori romantici. Huu Ngoc afferma: «In a single decade they passed through all the modern schools: romanticism, parnasse, symbolism, hermetism, dadaism, surrealism […] But they remained profoundly Vietnamese»[4]. Questo romanticismo, che finirà presto per cedere alla tendenza realista, ha comunque il merito di aver portato a un rinnovamento formale della poesia e all’«irruption du “moi” dans la litterature»[5].
Con l’affermazione del pensiero marxista e dell’ideologia operaia, la crescente influenza del Partito Comunista e gli eventi internazionali di quegli anni, gli autori si orientarono verso temi realisti e rivoluzionari, allontanandosi dalle tendenze romantiche. Genere per eccellenza di questi anni fu indubbiamente il romanzo in prosa, che spesso aveva come modello i classici realisti dell’Ottocento francese. Per la prima volta le masse popolari, i contadini, i lavoratori delle città assumono un ruolo da protagonisti in letteratura e le loro condizioni di vita sono descritte con penetrante realismo. A fianco di queste opere troviamo un’ampia produzione clandestina con contenuti rivoluzionari, i cui autori spesso sono militanti comunisti che scrivono in carcere. Si tratta principalmente di orazioni funebri e poemi che incitavano alla lotta per la liberazione nazionale destinati alla recitazione orale. Tra questi autori troviamo anche Ho Chi Minh che, rinchiuso per più di un anno in carcere, scrisse vari poemi in cinese classico.
Con la divisione del paese al termine della guerra anche la letteratura a nord e a sud del paese si differenziò. Nel Nord prevaleva la pubblicazione di racconti di guerra e opere di esaltazione patriottica ed esortazione alla resistenza. Al Sud, invece, la letteratura continuò ad ispirarsi alla corrente romantica degli anni precedenti e gli autori preferirono spesso la fuga dalla realtà all’engagement.
L’epoca post-coloniale
La frattura culturale che si era creata tra Vietnam del Nord e del Sud divenne, all’indomani della guerra, sempre più evidente. Al nord gli scrittori si attenevano alle direttive della dirigenza comunista esaltando lo spirito rivoluzionario e l’ideologia marxista. Il genere di maggiore successo era ancora il romanzo, orientato verso la corrente del realismo socialista. A sud la situazione era più complessa. Da un lato vi erano i letterati sovvenzionati dal governo di Ngo Dinh Diem impegnati a screditare il regime del Nord e il comunismo. Le opere di questi autori erano in genere di scarso valore letterario e riutilizzavano clichés della letteratura francese romantico-simbolista. Vi era poi una consistente produzione legata al movimento di resitenza anti-americana. Questi scrittori raccontavano principalmente episodi di guerra, spesso realmente vissuti, e descrivevano la disperazione e la miseria del popolo. Assunsero un certo rilievo, in questo contesto, gruppi etnici minoritari strenuamente impegnati nella resistenza che divennero protagonisti di alcune opere di quegli anni.
Sia al Nord che al Sud nel ventennio tra la Seconda guerra mondiale e la fine del conflitto con gli Stati Uniti l’alfabetizzazione conobbe risultati eccellenti, creando le condizioni per la formazione di un pubblico di lettori sempre più vasto. Inoltre l’insegnamento, a tutti i livelli, giunse ad ottimi risultati, tanto che nel 1975, nonostante il paese uscisse da trent’anni di guerra, l’università comprendeva numerose facoltà e vari indirizzi tecnico-scientifici, che favorirono lo sviluppo delle scienze e delle tecniche nel paese.
Dopo la riunificazione del paese il regime comunista aveva auspicato una parallela riunificazione culturale e ideologica. In realtà per un certo periodo la produzione letteraria mantenne orientamenti diversi. In seguito la pianificazione socio-culturale del governo incanalò ogni forma di produzione artistica entro i limiti della celebrazione del regime e dell’esaltazione patriottica. Secondo le direttive del Partito la nuova cultura vietnamita avrebbe dovuto possedere tre caratteristiche principali: essere nazionale, scientifica, e avere un carattere popolare di massa. Secondo alcuni l’orientamento del Partito in campo letterario ebbe come conseguenza l’uniformazione dei prodotti letterari, ormai privi di creatività, e l’assenza di opere di particolare rilievo. Studiosi come Nguyên Khac Vien e Huu Ngoc, invece, sostengono che in questo periodo si possa parlare «d’une véritable Renaissance»[6], per quanto ammettano che «divers facteurs entravent encore ce développement, de sorte que si les œuvres moyennes et mineures ne manquent pas, on attend encore les grands chefs-d’ œuvre de portée historique ou universelle»[7].
Nel 1985, con il VI Congresso del Partito Comunsita vietnamita, fu dato avvio al Dôi Moi. Si aprì così una fase di apertura dapprima in campo economico poi anche in ambito culturale. Gli intellettuali furono invitati a denunciare apertamente gli aspetti deteriori della società, fino ad allora tenuti nascosti. Il gruppo di autori che accolsero e misero in pratica questa esortazione costituì quella che fu chiamata generazione senza compromessi. Questi scrittori tentarono di restituire alla letteratura la sua autonomia rispetto all’ideologia del regime, scindendo il forte legame che si era instaurato tra politica e cultura. La loro è una letteratura del disincanto, che inizia a sollevare dubbi sull’operato del governo e a metterne in luce le contraddizioni. Al rinnovamento di contenuti si affianca, nei romanzi di questi anni, un’importante evoluzione formale. Molti romanzieri scelgono un linguaggio crudo e talvolta scioccante per i lettori.
Nonostante l’iniziale incoraggiamento del governo di fronte a questo rinnovamento letterario si sono in seguito alternati momenti di censura e di apertura. Gli autori della generazione senza compromessi, infatti, sono stati talvolta estromessi e ancora oggi le loro opere non sempre vengono pubblicate in Vietnam. Tra questi scrittori alcuni tra i principali sono Nguyên Huy Thiêp, Duong Thu Huong, Luu Quang Vũ, Bao Ninh e Pham Thi Hoài.
Tra le opere di Nguyên Huy Thiêp quella che ha suscitato maggiore interesse in Vietnam e all’estero è certamente la novella Tuong Ve Huu (Il generale in pensione), pubblicata nel 1987. Il protagonista, un generale in congedo che rappresenta la generazione del Vietnam rivoluzionario, è incapace di adattarsi all’ipocrisia e all’avidità della nuova società, completamente diversa dall’ideale per cui egli aveva combattuto. Con uno stile semplice e conciso, talvolta quasi brutale, il racconto dipinge un mondo senza avvenire, segnato dalla solitudine.
Un altro caso letterario che ha fatto discutere il Vietnam è Tien Su (Il messaggero Celeste) di Pham Thi Hoai, un romanzo che denuncia « alcune verità intollerabili come prevaricazione, corruzione, umiliazione, nevrosi, incomunicabilità; descrive, in altri termini, l’atmosfera della sopravvivenza quotidiana in una Hanoi fine anni Ottanta disputata da violenza e denaro»[8].
Il romanzo di Bao Ninh Noi Buon Chien Tranh (Le chagrin de la guerre) evoca la sofferenza e le atrocità della guerra, in uno stile denso, complesso, in cui i ricordi e le immagini del passato si accumulano e si fondono al presente. Alla fine dei combattimenti l’eroe del romanzo sarà l’unico sopravvissuto del suo settore.
Duong Thu Huong è considerata da molti come la maggiore scrittrice del Vietnam attuale. Le sue opere sono state tradotte in varie lingue e hanno riscosso un grande successo in tutto il mondo. In Vietnam, invece, è stato pubblicato soltanto il suo primo romanzo, Oltre ogni illusione, mentre i successivi sono stati vietati dalla censura. Nelle sue opere Duong Thu Huong ha descritto lucidamente la realtà della guerra contro gli Stati Uniti e la vita sotto il regime comunista, da lei duramente criticato. In Oltre ogni illusione la scrittrice affronta il conflitto tra l’idealismo rappresentato dalla protagonista Linh e l’opportunismo e l’ipocrisia della società contemporanea.
Attualmente la situazione della letteratura in Vietnam attraversa un fase critica. Phan Huy Duong, in un’intervista di alcuni anni fa affermava: « Elle (la littérature vietnamienne) est dans une situation très grave car les dirigeants ont fait table rase du passé culturel. Toutes ces valeurs humanistes balayées, il ne restait que le marxisme qui n’a pas résisté à la chute du mur de Berlin. Que reste t-il ? Rien. Uniquement le capitalisme. Le pouvoir prend des formes mafieuses avec le développement de la corruption. Il n’y a plus de valeurs. Maintenant on importe la littérature de bas étage de l’occident, on introduit la culture de consommation. Donc, les seuls tenants de la culture locale restent les écrivains qui sont aussi les plus opprimés par le pouvoir»[9]. Concludiamo, tuttavia, con la speranza espressa dallo stesso Phan Huy Duong per il futuro della letteratura vietnamita: «Les écrivains sont les seuls à pouvoir ressusciter, faire refleurir la culture du passé et apporter des valeurs nouvelles pour faire avancer la société»[10].
Francofonia e autori francofoni
La francofonia in Vietnam
In Indocina la colonizzazione francese produsse esiti atipici rispetto agli altri Paesi del réseau francophone. La resistenza culturale del popolo vietnamita, forte di una tradizione culturale ben consolidata, fu molto forte. La classe mandarinale, l’apparato ideologico confuciano e l’antica tradizione letteraria furono fattori determinanti nell’ostacolare l’opera civilisatrice della Francia. Il francese, lingua ufficiale dalla seconda metà dell’Ottocento, riuscì ad imporsi come materia d’insegnamento nelle scuole soltanto nel 1918 e la sua espansione rimase piuttosto limitata. Inoltre dopo la riunificazione del paese, nel 1976, ogni traccia della dominazione francese, come di quella americana, fu eliminata dal sistema scolastico e la lingua francese fu sostituita dal russo, che divenne la lingua straniera obbligatoria. Sebbene dopo il periodo del Doi Moi sia stato avviato un programma di cooperazione con la Francia al fine di favorire lo sviluppo della francofonia in Vietnam, la lingua francese rimane tuttora meno diffusa rispetto all’inglese e al russo. Si stima che oggi il francese sia parlato da solo lo 0,1% della popolazione, cioè circa 70000 persone. Tra questi, inoltre, la maggioranza sono locutori in età avanzata formatisi durante l’epoca coloniale.
Negli ultimi anni, tuttavia, si assiste a un rinnovato interessamento verso la francofonia e varie iniziative di cooperazione culturale sono state intraprese dopo il Sommet de la Francophonie di Hanoi nel 1997. Ad esempio è incrementata la richiesta di corsi di lingua francese, sono stati creati alcuni giornali editi in tale lingua oltre a programmi radiofonici e televisivi francofoni.
Il dibattito sulla francofonia in Vietnam è tuttora molto intenso. Alcuni temono che data la rarità dei locutori di lingua francese il futuro della francofonia in questo paese sia fortemente a rischio. Ma molti vietnamiti affermano semplicemente che la francofonia in Vietnam non sia mai esistita. Per certi versi, considerando solo il fattore linguistico, tale tesi non è del tutto errata. D’altra parte molti studiosi, ad esempio lo studioso Huu Ngoc, sostengono che la questione vada considerata dal punto di vista culturale anziché linguistico. In effetti per quanto la lingua francese non abbia un ruolo di primaria importanza in Vietnam, l’apoca coloniale ha lasciato un’eredità culturale considerevole. Tale concetto è espresso anche da Phan Huy Duong, che afferma “Au Vietnam on est francophone pour deux raisons: pour l’influence de la philosophie illuministe et de la culture française, et pour avoir inséré le schéma conceptuel de la pensée française à l’intérieur de la langue vietnamienne, pas pour le nombre de parleurs français, qui sont très rares”.
Scrittori francofoni in Vietnam
Nonostante la diffusione piuttosto limitata del francese e la presenza di una lingua nazionale ricca di una propria tradizione letteraria in Vietnam diversi scrittori hanno scelto la via della francofonia. In particolare negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, con il crescente desiderio di modernizzazione del Vietnam sul modello occidentale, condiviso da molti intellettuali, il francese divenne un importante strumento per avvicinarsi al progresso europeo. Per l’élite vietnamita, dunque, il francese era la lingua della cultura e un mezzo per accedere al pensiero occidentale. Un’altra ragione che indusse alcuni autori ad esprimersi nella lingua dei colonizzatori fu la volontà di questi scrittori di far conoscere la cultura vietnamita all’estero e specialmente in Francia. Durante l’epoca coloniale furono pubblicati numerosi testi che avevano come referente principale i lettori occidentali. Non è raro che queste opere fossere dedicate a amministratori coloniali francesi, con l’intento di far loro scoprire aspetti poco conosciuti della tradizione locale o per evidenziare le differenze culturali tra Francia e Vietnam.
Tuttavia, la scelta della francofonia è tutt’altro che unanime. Molti intellettueli assunsero un atteggiamento critico verso gli scrittori che utilizzavano la lingua francese perché percepivano tale scelta come una rinuncia alle tradizioni nazionali e un atto di sottomissione ai dominatori europei.
I primi testi di autori vietnamiti scritti in francese risalgono alla fine del XIX secolo. Si tratta, però, di testi non letterari, principalmente trattati di linguistica. Le prime opere letterarie, invece, risalgono agli anni della Prima Guerra Mondiale. La produzione di questo periodo è fortemente influenzata dalla letteratura francese, di conseguenza si differenzia notevolmente da quella della tradizione vietnamita. Una concezione tipicamente occidentale della vita e dell’individuo si insinuano nel romanzo, i cui protagonisti diventano artefici del proprio destino e sempre meno sottomessi all’autorità divina. Sia la poesia che la prosa risentono ampiamente del pensiero illuminista, del romanticismo e del simbolismo francese. Questa produzione letteraria mantiene, tuttavia, una sensibilità tipicamente orientale e spesso vi si trovano richiami alla cultura tradizionale.
I primi due testi letterari francofoni sono la raccolta di poesie Mes heures perdues di Nguyên Van Xiêm e Contes et légendes du Pays d’Annam di Lê Van Phát, entrambi nel 1913. Negli anni seguenti furono fondati alcuni periodici editi in francese e pubblicati i primi saggi in questa lingua, che spesso avevano come argomento il confronto tra Oriente e Occidente. Le rispettive culture furono dapprima percepite come antitetiche, poi molti intellettuali iniziarono a sostenere la possibilità di una fusione armoniosa tra le due. La prima opera teatrale francofona, rappresentata nel 1938, fu Éternels regrets di Vi Huyèn Dác, un dramma basato su alcuni avvenimenti storici dell’estremo Oriente.
Per quanto riguarda la prosa, invece, il primo romanzo francofono è Souvenirs d’un Étudiant di Nguyên Van Nho, un breve testo autobiografico del 1920. In questo come in diversi altri romanzi di questo periodo un’innovazione fondamentale è l’emergere di un individualismo di derivazione occidentale, assente nella letteratura tradizionale. I personaggi di queste opere spesso si avvicinano alla cultura europea e ne assimilano alcuni aspetti anche se in genere non abbandonano la propria cultura d’origine, giungendo piuttosto a una compenetrazione delle diverse culture.
A partire dagli anni Trenta, parallelamente all’ascesa del movimento nazionalista-indipendentista, alcuni intellettuali iniziarono un’opera di recupero del patrimonio culturale e letterario della tradizione vietnamita. In un primo periodo questo interesse si concretizzò nella pubblicazione di saggi sulla letteratura e la lingua del Vietnam. In seguito gli scrittori iniziarono a produrre opere letterarie con importanti richiami a queste tradizioni, sia per farle conoscere ai lettori occidentali sia per recuperare e conservare questo patrimonio, minacciato dalla modernizzazione di quegli anni. Ad esempio furono pubblicate raccolte di racconti e leggende tra cui la più nota e apprezzata è Légendes des terres sereines di Pham Duy Khiêm.
In questi anni, come nel periodo precedente, i romanzi francofoni hanno come tema prevalente il confronto tra cultura orientale e occidentale. La nuova generazione, formatasi alle scuole francesi, si trova smarrita di fronte a un futuro incerto. I protagonisti di queste opere, come gli autori stessi, si trovano nell’impossibilità di integrarsi pienamente nella cultura francese ma al tempo stesso si sono allontanati irrimediabilmente dai modelli tradizionali. Un tema che emerge, contemporaneamente a quello dello scontro fra due culture diverse, è la condizione femminile in Vietnam. Secondo la dottrina confuciana la donna è subordinata alla volontà della famiglia e poi del marito e non ha praticamente alcuna autonomia. Il confronto con la cultura francese ha portato molte giovani donne a rifiutare il destino imposto loro dalle antiche consuetudini. Anche nei romanzi vediamo apparire numerose eroine che si confrontano con qusta realtà. En s’écartant des ancêtres, ad esempio, è un romanzo che propone una nuova concezione del personaggio femminile. In quest’opera, pubblicata nel 1939 da Trinh Thuc Oanh e Triaire Marguerite la protagonista Maï tenta di svincolarsi dalle costrizioni del passato e riesce a diventare la prima donna medico del Vietnam. L’opposizione della famiglia alle sue aspirazioni, però, è molto forte e Maï si trova a esitare sulla possibilità di relizzare i suoi sogni.
Con la Seconda Guerra mondiale le problematiche storico-politiche diventano centrali nella produzione letteraria francofona. Dopo l’invasione giapponese, il Vietnam non era più sottomesso alla diretta dominazione francese, cessava dunque ogni ragione politica di scrivere in francese. Ciò nonostante alcuni testi, prevalentemente saggi, continuarono ad essere pubblicati in francese, per quanto in minore quantità. Le relazioni franco-annamite erano comunque destinate a cambiare e gli intellettuali iniziarono a proporre i primi bilanci della presenza francese.
La soppressione della libertà di stampa e la pressione alla quale erano sottoposti gli intellettuali tra gli anni Quaranta e Cinquanta causarono l’allontanamento di vari autori che spesso scelsero la Francia come terra d’esilio. La produzione francofona della diaspora, dunque, divenne abbondante, mentre in Vietnam i romanzi erano scritti sempre più spesso in vietnamita. Questa tendenza si è progressivamente accentuata e negli ultimi decenni gli autori francofoni residenti in Vietnam sono rarissimi, al contrario in Francia sono presenti vari autori di origine vietnamita.
Gli autori della diaspora
Nel 1975 è pubblicato l’ultimo romanzo francofono scritto in Vietnam, Patrie retrouvée di Nguyên Khac Vien. Da allora la produzione letteraria francofona si è situata soltanto nell’ambito della diaspora, mentre in Vietnam i pochi testi ancora scritti in francese sono generalmente saggi o articoli di periodici.
Le drammatiche condizioni del paese negli anni della guerra contro gli Stati Uniti avevano indotto un certo numero di famiglie ad emigrare. A queste si aggiunsero alcuni scrittori anti-comunisti (o comunque critici nei confronti del regime comunista) che erano stati esiliati. In questo primo periodo la destinazione privilegiata di questi esuli fu indubbiamente la Francia, che ancora oggi è uno dei paesi che ospitano il maggior numero di vietnamiti in esilio.
Tra i primi testi francofoni della diaspora compaiono alcune opere autobiografiche che descrivono l’esperienza degli scrittori prima dell’espatrio. Lucien Trong, ad esempio, in Enfer rouge, mon amour descrive la drammatica esperienza di prigionia in un campo di rieducazione, dove era stato rinchiuso per tre anni. In seguito gli autori della diaspora furono accomunati dall’esperienza dell’esilio, che spesso generava in loro un profondo sconvolgimento interiore e un senso di solitudine e incomunicabilità. Gli scrittori esiliati sapevano che la possibilità di rientrare in patria era molto remota, consapevolezza che acuiva la sofferenza dell’esilio. La loro condizione, dunque, si differenzia notevolmente da quella degli intellettuali che, nei decenni precedenti, si erano recati in Francia volontariamente per approfondire i loro studi. A quel tempo il confronto con l’Occidente era spesso vissuto con entusiasmo, come fonte di arricchimento culturale, probabilmente anche in ragione del fatto che l’esilio era vissuto come un fatto temporaneo. Gli scrittori costretti a lasciare il paese, invece, vissero il distacco dal Vietnam e l’inserimento in una nuova società in modo drammatico.
Per quanto riguarda gli autori delle nuove generazioni, spesso essi sono cresciuti in Francia e quindi si sentono estranei tanto in Vietnam, paese da cui si sono irrimediabilmente allontanati, tanto in Francia dove non sono ancora completamente integrati. Le loro opere, in genere, non sono ambientate in Vietnam ma in Occidente, mentre la terra d’origine compare solo sotto forma di ricordi sfocati e spesso rappresenta il tempo perduto dell’infanzia. Al centro della produzione letteraria di questi autori si trova un dilemma culturale individuale impossibile da risolvere. Non a caso, molte di queste opere si presentano sotto forma di romanzi autobiografici, in cui l’analisi del moi intime lascia ben poco spazio alle istanze collettive.
Rispetto a questo ripiegamento interiore ci sono, però, alcune eccezioni, tra cui ricordiamo i gialli seriali delle sorelle Kim Tran–Nhut e Tranh–Van Tran-Nhut, ambientati nel Vietnam del XVII secolo. Altri scrittori tentano di effettuare un recupero del passato precoloniale vietnamita. Le loro opere, ambientate in diverse opere storiche, rievocano atmosfere leggendarie, impregnate delle antiche dottrine e delle tradizioni indocinesi. Alcuni tra gli eventi principali del Vietnam sono ripercorsi in Le rêve du papillon, di Pham Quât Xá, romanzo che unisce la realtà storica ed elementi di fantasia.
Una caratteristica della letteratura vietnamita della diaspora è l’abbondanza della produzione letteraria femminile. Oltre a Kim Tran–Nhut e Tranh–Van Tran-Nhut alcune delle autrici principali dagli anni Ottanta ad oggi sono Kim Lefèvre, Ly Thu Ho, Bach Mai, Michelle Melville, Linda Lê. I temi delle loro opere, tuttavia, non si differenziano in modo significativo rispetto a quelle degli altri autori vietnamiti in Francia. Anche nella maggior parte di queste opere, infatti, è affrontata la questione dell’estraneità dell’emigrante rispetto alla cultura di un paese straniero. Questa condizione di meticciato culturale è presente, ad esempio, nell’opera di Kim Lefèvre. Nel suo romanzo Métisse blanche, l’autrice descrive la sua condizione di «fille, métisse, bâtarde», che l’ha resa vittima dell’intolleranza della società in Vietnam.
Linda Lê sembra discostarsi dai temi maggiormente presenti negli atri autori francofoni vietnamiti. Nella sua opera non compare alcun riferimento al suo Paese d’origine né alla condizione di esilio. I suoi romanzi esplorano la dimensione interiore e l’inconscio di personaggi che si muovono in un’atmosfera macabra e surreale, mettendo in luce il lato più oscuro e inquietante dell’esistenza.
Michelle Melville, autrice di D’Ivoire et d’Opium, è attulamente l’unica scrittrice vietnamita di espressione francese non residente in Francia, ma in Québec. Il suo è un roman documentaire in cui l’autrice narra la propria esperienza di giornalista nel Sud-Est asiatico, denunciando fenomeni drammatici quali il turismo sessuale, la prostituzione, il traffico di droga.
Alcuni autori della diaspora, dopo un lungo periodo di esilio, sono tornati nel loro paese di origine. Quest’esperienza, tuttavia, non è vissuta come un ricongiungimento alle proprie origini; al contrario evidenzia l’impossibilità di reintegrarsi nella cultura e nella società del Vietnam. Anna Moï, nel breve romanzo L’écho des rizières, esprime il suo spaesamento al suo ritorno in patria dopo vent’anni di esilio, alla fine della guerra con gli Stati Uniti. La scrittrice si trova di fronte a una realtà completamente mutata, ma nonostante la devastazione che la circonda decide di rimanere in Vietnam. Anche Pham Van Ky descrive il trauma derivante dal ritorno in patria. In Frères de sang, però, non è tanto il Paese d’origine a essersi trasformato, quanto il protagonista stesso. Costretto a lasciare la Francia per rispettare un’antica promessa, egli non ha alcun desiderio di tornare in patria, dove ormai si sente a disagio. Alla fine sceglierà di tornare in Occidente, anche se non si sente integrato neanche nella società del paese d’accoglienza.
Un amour métèque: un esempio di scrittura della diaspora
Phan Huy Duong
Phan Huy Duong nasce a Hanoi nel 1945, poco prima dello scoppio della guerra. Si trasferisce in Francia, dove risiede tuttora, nel 1963. Informatico di professione, è anche affermato traduttore dal vietnamita al francese. Ha tradotto raccolte di novelle come Terre des éphémères e En traversant le fleuve e numerosi romanzi di autori vietnamiti. Tra questi ricordiamo Les paradis aveugles e Roman sans titre di Duong Thu Huong e La messagère de cristal di Pham Thi Hoai. È responsabile della collezione “Vietnam” dell’editore Philippe Picquier e ha collaborato al Dictionnaire universel de la littérature contemporaine (PUF).
Phan Huy Duong è anche scrittore di lingua francese ed è considerato come uno tra gli autori vietnamiti francofoni più rappresentativi degli anni Novanta. Ha pubblicato nel 1994 la raccolta Un amour métèque, contenente due novelle e un breve romanzo, e nel 2000 il saggio Penser librement. È inoltre autore di Vay goi nhau nguoi (Devenir humain ensemble), in lingua vietnamita.
Struttura e contenuti dell’opera
I tre testi che compongono la raccolta Un amour métèque sono apparentemente molto diversi tra loro sia dal punto di vista tematico che formale. In realtà dietro a questa varietà di stile e di contenuti si celano elementi comuni che danno coesione alla raccolta.
Prima di analizzare l’opera riteniamo utile fornire una breve sintesi delle novelle che permetterà di comprendere quali siano i principali argomenti affrontati dall’autore.
La prima novella, Un squélette d’un milliard de dollars, è ambientata nel 1994, al termine dell’embargo. Il miliardario americano Richard Steel si reca in Vietnam deciso a ritrovare i resti di suo figlio, disperso durante la guerra. Per farlo è disposto a spendere un miliardo di dollari con cui comprare tutti gli scheletri non identificati del paese. Attirata dai lauti compensi la popolazione inizia a consegnare una grande quantità di scheletri, che vengono poi analizzati dall’équipe scientifica del miliardario. Dopo cento giorni, sulle risaie attorno al centro di raccolta si sono formate montagne di ossa, ma di John Steel nessuna traccia. Ma quando ogni speranza sembra svanire si presenta un vecchio, che promette all’americano i resti del figlio. In cambio, rifiuta le ricchezze offerte ma chiede di bruciare tutte le ossa e spargere le ceneri sul territorio vietnamita. Il miliardario recupera così le ossa del figlio e indaga sulla sua morte. Scopre che John, ferito, è stato nascosto e curato dal vecchio. Ma quando gli abitanti del villaggio l’hanno scoperto hanno ucciso lui e la figlia del suo salvatore, lasciando in vita solo il loro figlio appena nato. Commosso il milirdario decide di lasciare le spoglie del figlio in Vietnam, che è stata la sua ultima casa. La novella, così, si conclude, a sorpresa, con un finale ottimista e ricco di speranze.[11]
«Le Milliardaire ramena le squelette du soldat inconnu aux États-Units. Il l’enterra en grande pompe à côté de la tombe de sa femme, dans le caveau de ses ancêtres. Il épousa la femme de service. Ils furent heureux. Ils eurent beaucoup d’enfants. Dans la nombreuse déscendance de l’homme, il y eut des femmes, des hommes, de lettres et de culture, renommés, respectés, aimés. L’une d’elles devint la première femme Président des États-Units d’Amérique»[12].
Anche il secondo racconto, Vacance, è ambientato nel Vietnam contemporaneo. Il protagonista racconta in prima persona il suo ritorno al paese natale, dopo molti anni di esilio. Lan, un’affascinante guida turistica lo conduce attraverso i luoghi della sua infanzia, spesso ormai irriconoscibili. Durante il viaggio l’uomo si trova di fronte ad una situazione di degrado e miseria, dove giovani studentesse sono ridotte alla prostituzione e i bambini frugano nelle discariche e muoiono sul ciglio delle strade. La triste constatazione della realtà attuale sancisce definitivamente il crollo degli ideali del tempo della guerra. Il protagonista deve constatare che “la guerre est finie, la paix aussi. Maintenant c’est le temps du commerce”[13]. La bella guida, di cui il viaggiatore si è innamorato, si rivelerà essere una sua compagna d’infanzia ma anche il volto di una celebre fotografia diventata un simbolo per il movimento contro la guerra dei vietnamiti in Francia. Attraverso le parole di questa donna egli comprenderà che insieme alla guerra è finito il tempo della loro infanzia. Con essa il protagonista ha perduto la capacità di chiedere, mentre ora sa soltanto sedurre e comprare.
L’ultimo testo è un vero e proprio romanzo, composto da 17 capitoli. La trama, in realtà, è molto esile. Si tratta della banale storia di un amore non corrisposto. Come afferma l’autore stesso «Un amour métèque peut se lire comme le banal récit d’un homme aux prises avec le démon de midi»[14]. Un uomo di mezz’età, informatico di origine vietnamita, attraversa un periodo di crisi dopo essersi innamorato di una segretaria del suo ufficio. Il rifiuto opposto dalla donna lo precipita in uno stato di profonda sofferenza. L’uomo riflette sulla propria vita, sul suo matrimonio, sul senso dell’esistenza, la solitudine e l’impossibilità di comunicare per chi, come lui, si sente ovunque straniero. È descritta la vita quotidiana del protagonista, tra ufficio, difficoltà nei rapporti con la moglie, brevi viaggi per le conferenze. Il racconto termina con l’abbandono del posto di lavoro dove era nato l’amore per la segretaria e la fine dell’amore stesso.
L’ordine di successione delle novelle nella raccolta sembra non essere casuale e potrebbe, anzi, rispecchiare un preciso intento dell’autore. In effetti durante la lettura dell’opera si assiste a un progressivo spostamento da tematiche collettive e argomenti di attualità, ad una dimensione maggiormente orientata verso l’interiorità.
La prima novella prende spunto da alcuni reali avvenimenti degli anni Novanta, come la fine dell’embargo e la questione dei Missing in Action. Essa si presenta come “un conte moral pour notre temps … oscillant entre la philosophie et la caricature”[15]. Anche il secondo racconto, Vacance, è ambientato in Vietnam e le problematiche attuali di questo paese sono ancora presenti. Tuttavia queste non hanno più un ruolo esssenziale nella novella, mentre un’attenzione particolare viene portata alla personalità del protagonista e alla sua evoluzione nel corso del racconto. Vacance, dunque, presenta alcuni temi già riscontrati nella novella precedente e ne anticipa altri che si troveranno in Un amour métèque. Potremmo considerarlo una sorta di punto d’equilibrio tra il sofferto intimismo del breve romanzo finale e l’umorismo critico di Un squélette d’un milliard de dollars. Nell’ultimo testo eponimo il Vietnam non è più presente se non nei ricordi del protagonista, come luogo dell’infanzia irrimidiabilmente perduto. Il senso di disagio, estraneità, incomunicabilità che colpisce chi vive lontano dalla propria patria è al centro di questo romanzo.
Anche dal punto di vista formale assistiamo a un’evoluzione che rispecchia quella tematica. In Un squélette d’un milliard de dollars la narrazione si svolge in terza persona ed è caratterizzata da una pungente ironia. Nel secondo racconto, invece, passiamo ad una narrazione in prima persona e il tono si fa più malinconico in accordo alla disillusione e alla nostalgia che pervadono la novella. Nel romanzo conclusivo si assiste, invece, a una singolare alternanza tra narrazione in prima ed in terza persona. Questa scelta stilistica provoca un effetto di straniamento, quasi come se il protagonista si sdoppiasse per guardarsi dall’esterno quando parla di sé stesso.
La struttura dell’opera sembra in qualche modo ripercorrere il percorso esistenziale dell’autore. Come in molti altri autori vietnamiti in esilio, il forte legame con il paese d’origine tende a affievolirsi ed egli giunge a un graduale allontanamento dalla realtà vietnamita, mentre si fa più pressante la questione identitaria legata alla condizione di meticciato culturale.
Vietnam e Occidente: due culture a confronto
Come accennato in precedenza, l’opera di Phan Huy Duong presenta un’indiscutibile coesione al di là della varietà di contenuti che ne caratterizza le novelle. Uno tra i principali elementi di unione nei tre racconti può essere individuato nel confronto tra la cultura orientale, e in particolare vietnamita, e quella occidentale. Questo tema, come si è detto nei capitoli precedenti, è presente nelle opere di diversi altri autori, della diaspora e non. Nelle prime due novelle le due diverse culture sono rappresentate da personaggi che incarnano i valori del mondo occidentale, ad esempio il miliardario americano, e altri che rappresentano quello orientale, come Lan o il saggio vietnamita di Un squélette d’un milliard de dollars.
Nell’opera, tra gli elementi che rappresentano l’Occidente quello maggiormente significativo è certamente il denaro, il cui dilagante potere diventa un simbolo della cultura occidentale.
È proprio il denaro il motore di tutte le azioni e gli avvenimenti di Un squélette d’un milliard de dollars. L’autore stesso spiega che «Son sujet réel n’est pas cette histoire de POW/MIA. En tant que drame humain, ce drame mérite d’être résolu au mieux. Le sujet réel, c’est l’inhumanité d’un monde où la seule « valeur » qui reste, c’est... le dollar, où agir, c’est... acheter ! »[16]. Con le sue ricchezze l’americano sembra poter comprare qualsiasi cosa, dagli scheletri alle pagine dei giornali, dal silenzio del governo sul suo discutibile progetto alle persone stesse. Risulta particolarmente scioccante per il lettore l’acquisto di diverse ragazze del posto tra cui il miliardario sceglierà la sua femme de service.
«On les a toutes achetées. Aucun risque de sida ou de maladie. Votre médecin les a toutes examinées. Elles sont vierges et saines. Celle que vous choisirez sera transférée dans la villa dès ce soir. Elle n’en sortira sous aucun prétexte. La villa est bien gardée».
Termini che fanno riferimento al denaro e all’acquisto sono molto frequenti e in particolare il verbo acheter ritorna spessissimo in tutto il racconto. Soltanto in un breve passaggio il ricco americano afferma: «Eh bien, cette chance, je l’achète […] Je n’enquête pas, je ne négocie pas, j’agis. J’achète […] Par ailleurs, j’achète cash 150 dollars tous les squélettes non identifiés»[17]. Questo aspetto risulta ancora più significativo se consideriamo la novella in rapporto alla produzione letteraria e cinematografica americana concernente la questione dei Missing in Action. Dopo il termine della guerra con il Vietnam era stato prodotto un discreto numero di film in cui coraggiosi eroi statunitensi affrontavano mille pericoli per salvare i soldati ancora prigionieri degli spietati vietnamiti. Phan Huy Duong, nella sua novella, sembra quasi voler mettere in luce come, al di là della retorica, le vere armi sfoderate dagli americani (di cui il millardario è rappresentativo) siano, ormai, le mazzette di dollari, che peraltro non mancano di sortire il loro effetto.
Anche il protagonista di Vacance, dopo il lungo esilio in Europa, ha assunto una mentalità tipicamente occidentale, la stessa del milirdario di Un squélette d’un milliard de dollars. Come il ricco americano sa soltanto comprare. Questo comportamento si verifica anche nel suo approccio con Lan, la quale mette in luce la trasformazione del protagonista rispetto ai tempi dell’infanzia con queste parole: «À l’époque, tu savais demander. Maintenant tu sais séduire, acheter»[18].
Al dilagante potere del denaro si oppongono alcune rare figure. La più significativa è quella di un vecchio saggio presente nel primo racconto. Rifiutando le ricchezze che il milliardario gli aveva offerto egli afferma l’esistenza di valori più profondi e più importanti rispetto al denaro. Uno tra questi è il rispetto per i morti, che impone all’americano chiedendogli di restituire al territorio vietnamita le ceneri degli scheletri. Il vecchio, con la sua dolcezza e serenità sembra essere il simbolo della saggezza tradizionale e dei valori confuciani. Anche l’affascinante Lan rifiuta di sottomettersi alla mentalità occidentale secondo cui tutto può essere acquistato. Pur essendo attratta dal protagonista della novella, Lan rifiuta il suo corteggiamento perché lo percepisce come un tentativo di comprarla, cosa che il protagonista stesso conferma, affermando alla fine delle novella: «Je n’essayais plus de séduire Lan. Je ne pensais plus à l’acheter»[19].
Queste due figure, tuttavia, non sono rappresentative della società vietnamita contemporanea, che è descritta, invece, come un mondo sempre più influenzato dalla cultura occidentale e da cui i valori tradizionali stanno rapidamente scomparendo. Il vecchio amico Duc, ormai inserito nella nuova realtà vietnamita lo fa notare al protagonista.
«On voit bien que nous sommes en pleine économie de marché […] La guerre est finie, la paix aussi. Maintenant, c’est le temps du commerce. Que crois-tu que nous sommes ici? Des occidentaux à peau jaune»[20].
Nell’opera di Phan Huy Duong il confronto tra culture diverse non è presente soltanto a livello di contenuti ma influenza la produzione letteraria stessa. In Un amour métèque, ad esempio, troviamo varie citazioni di autori quali Sartre, Malraux e Pascal. Un’abbondanza di riferimenti al mondo culturale e letterario francese che certamente mette in evidenza come la cultura del paese in cui vive abbia profondamente influenzato l’autore. In Vacance, invece, è inserita una leggenda tradizionale del Vietnam. A parte queste esplicite citazioni, comunque, è difficile determinare quali aspetti derivino da un’influenza culturale vietnamita e quali dalla cultura francese. L’autore stesso spiega come una profonda compenetrazione di elementi tipicamente vietnamiti ed altri francesi agiscano contemporaneamente nelle sue opere:«Il est des choses que je ne peux dire qu’en vietnamien et d’autre qu’en français. Je suis arrivé en France à 18 ans. A cet âge, l’homme est fait pour une partie essentielle de son être : l’ensemble des rapports sensuels au monde et un ensemble de valeurs d’une civilisation. C’est sans doute pourquoi les amis qui ont connu le même parcours que moi écrivent tous leurs oeuvres littéraires en vietnamien. Mais j’ai mûri en France. J’ai vécu la majeure partie de mon existence dans ce pays. Mon langage doit porter la marque des deux langues»[21].
Una scrittura dell’esilio
Il tema dell’esilio, che abbiamo visto essere presente nella quasi totalità delle opere della diaspora, è fondamentale anche in questa raccolta di novelle di Phan Huy Duong. La condizione dell’esilio, così importante nella produzione letteraria degli autori vietnamiti di espressione francese, può essere differenziata, secondo Jacques Mounier[22], in varie tipologie. Ne forniremo una breve panoramica.
Un primo tipo di esilio, forse il più comune, è l’esilio forzato. Esso è percepito come una perdita di dignità e libertà e vissuto come una condizione indeterminata, priva di ogni stabilità. L’esule vive questa condizione come una continua attesa di ritornare in patria ed è costantemente diviso tra nostalgia e speranza. Nel tempo egli rischia di estranearsi dalla terra d’origine pur senza integrarsi completamente nella comunità d’accoglienza. Il senso di perdita e di precarietà che derivano da tale situazione generano nell’esule una sofferenza che in molti autori della diaspora diventa il principale soggetto letterario.
Vi è poi un secondo tipo di esilio, quello volontario. In questo caso, sebbene scelto consapevolmente, l’esilio scaturisce da una scelta difficile e sofferta ed è spesso avvertito come l’unica soluzione possibile di fronte a una situazione ritenuta insostenibile nel Paese di provenienza. Anche l’esilio volontario, dunque, genera spesso un senso di sofferenza e precarietà. Tuttavia in questo caso l’esule desidera integrarsi nel Paese d’adozione e non sempre ha intenzione di tornare in Patria.
Infine vi è l’esilio metaforico. Sebbene spesso sia collegato all’esilio geografico, quest’ultimo può verificarsi anche senza un reale spostamento fisico dal proprio Paese,. Si tratta, piuttosto, di una sensazione di estraneamento e di disagio dell’uomo rispetto all’ambiente e alla società che lo circondano. Questa forma di esilio risulta particolarmente angosciante poiché genera un senso di alienazione e solitudine in qualsiasi luogo, privando dunque l’esule anche delle speranza di un possibile ritorno in Patria. L’esilio metaforico è spesso collegato all’attività letteraria. La scrittura è talvolta l’unico mezzo in grado di oltrepassare l’incomunicabilità e la solitudine dell’esilio.
Nel caso di Phan Huy Duong all’esilio fisico, geografico, si aggiunge quello metaforico. Come nel caso di molti esuli volontari l’autore non esprime nella sua opera il desiderio di tornare in Vietnam, dove ormai si sentirebbe straniero. D’altra parte egli non si sente completamente integrato nemmeno in Francia, suo Paese d’adozione. La scissione tra due mondi e due culture in cui si sente straniero, genera nell’autore una condizione di sradicamento. «Mon point de départ, si on peut dire, mais, sur ma langue fourchue, le dire c’est déjà mentir, n’était ni une idée - il aurait fallu avoir une culture -, ni un père, une mère - il aurait fallu avoir une enfance -, ni un frère, une soeur, une amie - il aurait fallu avoir une jeunesse -, ni un homme, une femme - il aurait fallu avoir la foi -, ni un ciel, une terre, un arbre, une pierre, un éclat de soleil ou de lune sur des éclats de feuilles ou d’eau - il aurait fallu avoir une patrie. Encore moins la tendresse d’un toit - il aurait fallu avoir la paix. Mon point de départ est une fuite. »[23]
Il senso di disagio, estraneità, incomunicabilità che colpisce chi vive lontano dalla propria patria è centrale nell’opera di Phan Huy Duong. Il protagonista di Vacance e Un amour métèque è descritto come «seul, désaxé, déraciné, interdit. Seul comme un immigré. Il a beau dire: j’ai une double culture. C’est insensé»[24]. La profonda sofferenza che deriva da questa condizione è espressa, nel testo, attraverso la frequenza del termine souffrance e di altri vocaboli dello stesso campo semantico. Già dalle prime pagine della novella è possibile tale ridondanza.
«Je me vois souffrir. Et je sombre de nouveau dans le trou. Je deviendrais fou. Je ne suis déja plus capable de dire ma souffrance […] Il y a une souffrance qui se balade sans raison en prenant ma forme, gratuitement. Quelle injustice!
Parfois je me vois souffrir. Je me dis je souffre, et j’ai peine à croire qu’il s’agit de moi»[25].
All’estraneità sia rispetto al Paese d’origini sia rispetto a quello d’adozione pare aggiungersi, nel caso di Phan Huy Duong, un esilio da sé stesso che si manifesta nell’alternanza tra prima e terza persona. Il passaggio dal je a un impersonale il sembra, infatti, mostrare come il protagonista-narratore percepisca sé stesso con un senso di estraneità, quasi stesse parlando di un’altra persona.
Il pessimismo derivante da questa situazione assurge, in Un amour métèque, a una dimensione universale, in cui l’essere umano è percepito come «une marionette qui rêve et s’èpuise en vaine gesticulations. Sa seule liberté est de bêler pour ou contre le troupeau, tout en le suivant de gré ou de force»[26]. In questo pessimismo si possono scorgere alcune analogie con il pensiero esistenzialista. In effetti, come si è detto nel paragrafo precedente, in Un amour métèque si trovano numerose citazioni di Sartre e vengono ripresi vari temi tipici dell’esistenzialismo.
Come diversi altri autori, tra cui ricordiamo Anna Moï e Pham Van Ky, anche Phan Huy Duong affronta il tema del retour au pays natal. Negli scrittori della diaspora il ritorno in patria è un soggetto letterario di particolare interesse, in quanto il confronto con la terra d’origine mette in evidenza quanto l’esperienza dell’esilio possa trasformare gli esuli e allontanarli irrimediabilmente dalla cultura e dalle tradizioni della loro Patria.
Per il protagonista di Vacance quest’esperienza è vissuta come un viaggio iniziatico, quasi come se Lan, una sorta di Beatrice orientale, lo guidasse in una discesa agli inferi (e sembra davvero infernale la realtà con la quale si trova a confrontarsi) che porterà il personaggio ad una maggiore consapevolezza. Egli comprende che non solo il paese si è trasformato rispetto agli anni della sua infanzia ma lui stesso è cambiato profondamente. Ormai, in Vietnam, il protagonista è trattato come un turista.
«Elle a préparé mon séjour dans le mpindre détail. Je reconnais le circuit touristique pour étranger. Normal. Je n’ai plus de famille, d’amis ici»[27].
Il confronto con il Vietman attuale provoca in lui un senso di disillusione rispetto ai ricordi e a quelli che erano stati i suoi ideali durante la guerra. Inoltre il protagonista capisce che la comunicazione tra chi, rimanendo in Vietnam, ha vissuto la guerra e chi, come lui, ha soltanto «couché avec elle»[28] è impossibile. La vacanza, dunque, si conclude con la definitiva constatazione dell’impossibilità di un ritorno indietro. Nonostante questa nuova consapevolezza generi sofferenza essa non è del tutto negativa. Infatti mentre all’inizio del suo viaggio il personaggio sembrava cinico e indifferente, man mano che si addentra nella sua terra d’origine e ne scopre il degrado e la povertà, ritorna a essere umano e a provare dei sentimenti autentici. La novella si conclude con il ritorno in Francia del protagonista che pare aver acquisito una nuova serenità.
«Je me suis dit que j’ai quarante ans, que moi aussi, j’ai eu une enfance, un temps de l’amitié, que la guerre est finie, qu’il me reste l’avenir, que je le vivrai, que je le mourrai chez moi, là où je suis devenu ce que je suis, nulle part. Qu’un jour peut-être j’y trouverais le courage, une dernière fois, de demander. Qui sait?»[29].
Si è visto che il senso di alienazione e estraneità provato dal protagonista di Vacance non può essere superato attraverso il ritorno nel Paese d’origine. Nemmeno l’amore può opporsi all’incomunicabilità e alla solitudine del métèque, anzi proprio la condizione dell’esilio, con le sue drammatiche conseguenze sull’interiorità dell’esule, nega al protagonista di Vacance e a Un Amour métèque la possibilità di amare. In Vacance l’uomo è respinto dall’affascinante vietnamita Lan. Non può esserci amore tra di loro perché sono ormai troppo diversi e la comprensione reciproca non è più possibile. In Un amour métèque il protagonista, tornato in Francia, si innamora di una segretaria ma anche questa volta l’amore è destinato inevitabilmente al fallimento. Il rifiuto dell’amore del protagonista da parte della donna è percepito anch’esso come una forma d’esilio.
«Il était aimé parce qu’elle avait voulu l’aimer. Je ne l’étais pas parce qu’elle ne l’avait pas voulu. C’était tout, et c’était atroce. Je n’étais que ce refus, cet exil définitif, gratuit, insurmontable. […] Il passa ainsi la matinée, perdu dans le sentiment de son exil, surprenant de temps en temps les yeux de l’homme qui épiaient sa souffrance»[30].
L’amore non corrisposto per la segretaria genere in lui dolore e sofferenza. Questi, però, non hanno soltanto una valenza negativa. L’autore afferma: «Que cet amour soit refusé, notre homme doit plutôt en bénir le ciel: cela le fait souffrir, donc exister. En effet, sa vie, du moins jusqu’à l’âge de quarante ans, n’est rien d’autre qu’une recherche de la justification de son existence»[31].
Il fatto che l’amore non riesca a realizzarsi, del resto, non stupisce. È il protagonista stesso che si sente incapace di amare realmente perché consapevole della sua sostanziale solitudine. Possiamo constatarlo in queste parole di Phan Huy Duong, che ben si adattano alla situazione del suo personaggio anche se egli le riferisce, in verità, a sé stesso: « Je peux le dire, en toute humilité, en tout orgueil, en toute humanité : je n’ai jamais tenté de m’enraciner dans un amour. Je n’ai jamais su aimer comme on devait aimer. Car je suis né sans repères. Je n'ai pas appris à recevoir, je ne sais pas donner. Jamais, rien ne m’a été dû»[32].
Anche la relazione con la moglie viene messa in causa e analizzata dal protagonista. È stato l’amore o sono stati gli ideali comuni ad averli uniti? Gli anni dell’impegno politico, come constata la donna, li hanno certamente avvicinati.
«Nous avons partagé le même engagement, la même lutte, la même vie. Presque tout ce que j’ai entrepris, je l’ai réussi. Les échecs eux-mêmes m’apparaissaient comme des étapes. Puis il y a eu la victoire, cette explosion de fraternité heureuse, tu te rappelle? C’était en 75. un soleil éclatant inondait un 1er mai d’allégresse. Nous marchions côte à côte dans la foule qui descendait en riant le boulevard Malesherbe. Nous nous tenions la main en silence […] La guerre était finie. Nous avions vaincu. Les portes de l’avenir brusquement s’ouvraient. Nous avions un monde à bâtir dans lequel nos enfants seraient heureux»[33].
Ma ora che quelle certezze sono svanite la comunicazione si rivela impossibile.
«Maintenant, c’est fini. Les portes se sont refermées. L’avenir que nous avons projeté est mort. […] Je n’ai personne à qui parler. Personne, sauf toi. Tu as toujours été mon appui dans les moments d’incertitude. Je te découvre aussi faible, aussi désemparé que moi, et je suis étrangère à ta solitude»[34].
Entrambi hanno consapevolezza del fatto che « on ne peut que mimer la douleur des autres, on ne peut jamais la partager»[35]. Nemmeno l’amore, dunque, riesce ad alleviare il dramma esistenziale del métèque.
L’unico modo per dare sfogo alla proprio sofferenza e di oltrepassare il muro dell’incomunicabilità è la scrittura. Per il protagonista di Un amour métèque scrivere sembra avere una funzione quasi terapeutica: «Alors j’ècris. Je m’efforce de voir, de décrire ma douleur, de m’expulser de moi en la crachant sur le papier»[36]. Soltanto scrivendo egli riesce a «décoller un peu d’elle (la souffrance)»[37]. La scrittura, quindi, sembra rappersentare una vera e propria ancora di salvezza: «Il faut que je m’accroche à la page blanche. Quand on se noie, on s’agrippe à l’épave qu’on a»[38]. L’intento stesso del romanzo sembra essere dovuto, almeno in parte, alla necessità di prendere le distanze rispetto alla souffrance che pervade il personaggio. Il testo si apre infatti con queste parole: «Si, à l’issue de ces pages, je n’arrive pas à sortir de ma souffrance, je sombrerais probablement dans la démence»[39].
La narrazione autobiografica
Un’esperienza profondamente intima quale è quella dell’esilio comporta spesso la scelta del genere autobiografico, una forma che ben si presta a parlare di se’ e al ripiegamento interiore. La forma di enunciazione autobiografica è utilizzata da molti autori vietnamiti della diaspora e nelle loro opere tale tipologia narrativa presenta diverse varianti.
Talvolta, come nelle opere di Kim Lefèvre, il patto autobiografico viene rispettato: narratore, personaggio e autore coincidono e il racconto è svolto in prima persona. In altri autori, invece, il je tende a diventare un nous e attraverso la narrazione della propria esperienza vissuta sono espresse istanze collettive. In alcuni casi, poi, nonostante la narrazione sia in prima persona l’autore prende le distanze dal testo negando il patto autobiografico. Ne Les reflets de nos jours, di Nguyên Huh Chau, l’autore presenta il testo nella forma di journal di un amico morto in guerra che dice di aver ritrovato. Altri testi, poi, sono enunciati in forma epistolare oppure narrano esperienze che sembrano ripercorrere la vita dell’autore ma utilizzando la terza persona.
Non sono assenti, all’interno di questa varietà di forme autobiografiche, casi di sperimentazione stilistica, tra cui possiamo annoverare anche la novella Un amour métèque. In questo testo si alternano diverse voci narranti. Le principali sono je e il ma in alcuni punti il narratore si esprime anche alla seconda persona tu e in un passaggio compare il nous, riferito a chi, come il protagonista, si trova in esilio. Queste istanze enunciative si sovrappongono frequentemente ma fanno tutte riferimento all’identità del protagonista e narratore. Alla continua alternanza tra persone grammaticali si aggiunge, talvolta, il passaggio dal tempo presente al passato. In particolare vengono ripercorsi alcuni avvenimenti dell’infanzia del protagonista. Anche in questi episodi je e il si alternano. La narrazione, ad esempio, inizia alla terza persona: «Il avait trois ans. Il était enfermé dans une jarre avec son frère». Poi si passa al je: «Ce jour-là, pour la seconde fois, un homme me donna gratuitement la vie. Je ne l’oublierais jamais», per tornare subito dopo alla narrazione impresonale: «Il avait six ans, un soir, quand il décida de quitter sa famille»[40].
Questo tipo di scrittura, che sembra avvicinarsi alle forme autobiografiche più innovative degli ultimi anni, riflette la condizione di disagio esistenziale che pervade il protagonista. Il lettore, infatti, ha l’impressione che egli percepisca il proprio io come disgregato e costituito da una pluralità di identità frammantarie che si scindono e si ricompongono ciclicamente .
Questa disgregazione dell’appartenenza identitaria e il senso di alienazione sono tipici del tipo di esilio che abbiamo definito metaforico. Quando il je è sostituito dalla terza persona si ha l’impressione che il narratore si stia osservando dall’esterno e si percepisca come un altro. «Parfois je me parle de moi come d’un autre. Parfois un autre se met à souffrir comme s’il était moi. Qui est- il et qui suis-je? Je, Il, accoupplement féroce du silence avec un cri.» [41].
Come conferma l’autore stesso, il protagonista di Un amour métèque et Vacance sono in realtà lo stesso personaggio. Lo sperimentalismo narrativo del breve romanzo eponimo è però del tutto assente nella novella. Questa è caratterizzata da uno stile conciso, con pochissimi commenti, e da un sistema paratattico neutro. La narrazione è condotta durante tutto il testo alla prima persona.
Sebbene non ci sia un vero patto autobiografico è naturale chiedersi se il personaggio di questi due racconti possa essere identificato con l’autore. Phan Huy Duong non fornisce all’interno né al di fuori dei testi alcuna informazione a proposito. Tuttavia molti episodi presenti nelle novelle, come l’infanzia durante la guerra, l’esilio in Francia, l’impegno contro la guerra in Vietnam, sono eventi reali che hanno segnato l’esistenza dell’autore.
Un discorso a parte merita la scrittura di Un squélette d’un milliard de dollars. Questa novella non è autobiografica ma raccontata in terza persona da un narratore extradiegetico. La caratteristica principale del testo è l’estrema essenzialità del discorso, praticamente privo di aggettivi. Come spiega l’autore stesso, in questa novella « Ce qui choque, c’est le style. Dans le texte, il n’y a pratiquement pas d’adjectifs ! Dans toutes langues, les adjectifs sont des mots qui expriment les qualités de la vie, l’être humain en tant qu’être vivant, ou bien les valeurs d’une civilisation. Dans ce texte, il n’y en a pratiquement pas ! Pour décrire un monde inhumain, j’utilise consciemment un langage inhumain tout juste suffisant pour exprimer les relations humaines comme des relations de l’homme avec les choses. C’est ça, la littérature»[42].
Entretien avec Phan Huy Duong
En 1994 vous décriviez un Vietnam où les valeurs traditionnelles étaient en train de disparaître sous l'influence de la culture du commerce tipiquement occidentale. Aujourd'hui pensez-vous que les tradions de votre pays vont être oubliées? Quel rôle peut avoir la littèrature dans cette situation de rapide évolution et modernisation?
L'effondrement des valeurs traditionnelles au Vietnam a des raisons multiples:
1. La guerre. Elle a duré près de 30 ans avec une pause de quelques années seulement et uniquement sur le plan militaire. Elle a totalement bouleversé le paysage social du Vietnam.
2. La Réforme Agraire sous l'égide du Parti des Travailleurs (ancien nom du Parti communiste actuel). Elle a totalement déstructuré le village qui a constitué l'unité sociale communautaire du Vietnam pendant des siècles.
3. L’exode des Vietnamiens du Nord vers le Sud lors de la séparation du Pays en deux zones, en 1954-1955. Un million de personnes. Elle a vidé en partie les villes du Nord de sa population la plus instruite, la plus cultivée. Actuellement à Hanoi, il n'y a plus que 10% de la population qui sont des Hanoiens de souche.
4. L’instauration du système « socialiste » qui a voulu effacer par la dictature (éducation, édition, information, média, etc.) la culture dite féodale et petite bourgeoise du Vietnam pour la remplacer par une culture prolétarienne qui n'a tout simplement jamais existé ! Le Vietnam n'était pas et n'est toujours pas un pays industrialisé, il y a peu d'ouvriers et la majorité d'entre eux sont des gens incultes. Le résultat : la culture traditionnelle est étouffée, y compris dans la vie quotidienne par des gens incultes ou des gens peu soucieux de valeurs, quelles qu'elles soient, mais qui détiennent le pouvoir.
5. L'exode des Vietnamiens vers l'étranger à la fin de la guerre et plus tard par la fuite en mer (boat-people). Elle a vidé le Sud d'une grande partie de sa population instruite et cultivée.
6. C'est dans ce contexte que le Vietnam s'est ouvert à l'économie de marché dans la pire des situations : il est complètement désarmé sur le plan culturel. L'idéologie communiste s'est effondrée y compris dans la tête des dirigeants et des membres du PC car elle ne correspond à aucune réalité économique et sociale. L'idéologie bourgeoise n'existe plus, d'une part parce que le VN n'a jamais eu une vraie bourgeoise digne de ce nom (le pays était constitué à 90% de paysans) et ceux qui auraient pu devenir le noyau d'une classe bourgeoise cultivée ont en majorité fui à l'étranger ou sont réduits au silence. Sans compter le fait que pendant plusieurs décennies, ils n'avaient pratiquement pas accès aux oeuvres de l'Occident. Les valeurs traditionnelles sont étouffées d'un double point de vue : a/ elles ne correspondent plus à la structure sociale et économique en cours de mutation rapide du pays et b/ elle est réduite au silence par la dictature du PC sur la presse, l'édition, les média, l'éducation, etc. et ce PC est profondément gangrené par la corruption. Bref, nous sommes dans une période de capitalisme sauvage. Ce genre de capitalisme non seulement n'a aucun besoin de la culture, des valeurs quelles qu'elles soient, il en a même peur.
Aujourd'hui 60% des Vietnamiens ont
moins de 25 ans ! Avec la vie qu'ils mènent, l'éducation qu'ils ont reçue, il
ne doit pas rester grand-chose de tout l'héritage culturel du passé « lointain
».
La culture traditionnelle du Vietnam avait survécu au temps grâce à :
- la culture orale
- la culture classique de langue chinoise
- la culture classique en Nôm (Vietnamien écrit avec des idéogrammes chinois, inventés par les Vietnamiens pour transcrire leur vocabulaire propre)
- la culture moderne transcrite en caractères latins, le Quôc Ngu.
Peu d'autres choses ont survécue au temps et aux guerres.
Cela signifie que la littérature est peut-être l'un des moyens essentiels pour la conservation et la propagation des valeurs traditionnelles. Mais elle est extrêmement surveillée, opprimée.
Dans les œuvres des écrivains en exil, et dans votre recueil aussi, la question identitaire est souvent très importante. Quel est votre concept d'identité? Combien est-elle liée au sens d'appartenance à un Pays où à une communauté?
En ce qui me concerne, la question identitaire ne se pose que lorsque l'homme
est malheureux. Il est malheureux lorsqu'il ne trouve pas sa place dans le
monde. Il ne la trouve pas parce qu'il en est rejeté. Ceci est valable non seulement pour
les gens en exil, mais aussi pour les Français de souche par exemple. Lorsque
la décision d'un inconnu, Américains, Japonais, Chinois, Bruxellois anonyme,
etc. jette des dizaines de milliers de Français hors d'une existence sociale
normale, le Français lui-même se demande si la France et la vie qu'il y mène
lui appartiennent vraiment, si elle peut encore avoir un sens pour autrui et
pour lui-même ! La mondialisation capitaliste n'est pas un vain mot. Dans le
monde que nous vivons, nous commençons tous à devenir des métèques !
Vous pouvez le constater dans la nouvelle Un Squelette... Elle parle clairement du monde contemporain. Ce monde n'est pas humain car toutes les civilisations sont en crise.
Pour moi, le concept d'identité n'est pas lié au sentiment d'appartenance à un pays, à une communauté. Il est lié au processus réel du devenir humain ou inhumain d'un homme. Ce devenir dure toute une vie. Comme je l'ai expliqué dans mon livre de philosophie, Penser Librement, l'homme ne naît pas humain, il doit apprendre à le devenir. Il l'apprend à travers l'apprentissage d'une langue, c'est-à-dire en réincarnant en lui une culture. Les enfants des immigrés en France qui ont réussi à s'intégrer normalement à la société française se sentent français parce qu'ils parlent, pensent et sentent en français. De la culture de leurs parents, il reste peu de chose : des formes de relations familiales, le goût d'une cuisine, etc.
Dans vos
nouvelles on est frappé par la souffrance qui hante ceux qui se trouvent à
cheval sur deux civilisations. Ne pensez-vous pas que cette condition soit
aussi un enrichissement?
Étant devenu
humain à travers deux langues, je suis comme vous le dites, à cheval sur deux
civilisations. Je me sens tout aussi vietnamien qu'un Vietnamien et tout aussi
français qu'un Français car je vis, je pense et je sens dans les deux langues. Cette situation n'est pas
douloureuse en elle-même. Elle contribue naturellement à enrichir la personnalité.
La plupart
des gens qui jouissent d'une existence normale s'en arrangent fort bien : selon
les besoins, ils utilisent une langue ou une autre, goûtent des plats d'un pays
ou un autre, etc. Dans la première moitié du 20e siècle, ce genre de problème ne se posait
même pas.
Cette
situation commence à devenir douloureuse quand les civilisations sont toutes
les deux en crise. On ne peut s'appuyer sur aucune pour donner un sens, une valeur à sa vie.
Alors, on
souffre doublement ! On souffre autant, mais différemment selon le sujet, selon
la langue à travers laquelle on souffre, car étant biculturel on aborde chaque
sujet particulier dans la langue à travers laquelle on le connaît le mieux. En contrepartie de cette
double douleur on est aussi capable de sentir, de
comprendre la douleur d'autrui, dans une civilisation et dans l'autre.
Cela est aussi un enrichissement. Mais, à mon avis, le vrai enrichissement qualitatif n'est possible que si on ose affronter la crise de face, tenter de la comprendre jusqu'au bout et de lui inventer une solution. Si on trouve cette solution, elle est valable pour les deux civilisations, elle est plus humaine que toutes les valeurs passées dans les deux civilisations.
Dans les œuvres de beaucoup d'auteurs francophones (je parle ici d'auteurs
non vietnamiens) la langue française est influencée par des expressions et des
tournures linguistiques dérivées de leur langue maternelle. Dans votre ouvre je
n'ai pas remrqué cet aspet, qui est absent, je crois, aussi dans les autres auteurs
d'origine vietnamienne. Quelle est selon vous la raison de ce phénomène?
Parce que, dans un sens, la langue vietnamienne contemporaine est une cousine
germaine de la langue française. Au début du siècle dernier, une centaine
d'intellectuels vietnamiens ont inventé le vietnamien contemporain en lui
donnant, dans leurs oeuvres :
1. L’écriture latine
2. Les pensées du Siècle des Lumières, les formes de la littérature française du 17e au 19e siècle, notamment le romantisme.
3. la structure très rationaliste de la langue française. Il suffit de lire les manuels de grammaire de l'époque pour s'en rendre compte : on dirait une traduction de la grammaire française de ce temps-là !
Vous trouverez des textes de moi sur ce sujet dans mon site web :
http://amvc.free.fr notamment dans le livre Au fil des jours, au fil des oeuvres.
Dans la culture européenne la créativité de l'activité littéraire est perçue comme difficilement conciliable avec une discipline comme l'informatique. Au contraire dans Un amour métèque vous arrivez à conjuguer ces deux éléments. Quelle influence ont eu le language et les méthodes de travail de l'informatique sur votre écriture?
Le métier de
l'informatique m'a apporté une chose : une série de réflexion sur la nature du
langage. Le
monde informatique est entièrement piloté par les langages de programmation. Ce
sont des langages hautement formels et normalisés. C'est pourquoi on peut
reconnaître l'exactitude d'un programme avec l'aide d'un automate qu'on appelle
compilateur. Mais les programmes en eux-mêmes n'ont pas de sens ! On peut très
bien écrire un programme ou un sous-programme reconnus comme exacts et qui ne «
signifient » rien. C'est souvent l'origine des bugs. Ce genre de langages
est parfaitement adapté aux rapports matériels de l'homme au monde. Par
exemple, il peut nous aider à piloter un robot pour observer le fond de la mer,
les crevasses sur Mars. Il est parfaitement illusoire qu'on puisse s'en servir pour
exprimer un sentiment, une valeur. Le langage littéraire, s'il parvient à
exprimer le rapport global de l'homme au monde comporte aussi ce type de
rapport. Selon le rapport au monde que vous voulez exprimer, que vous souhaitez
partager avec le lecteur, il vous faut utiliser le langage autrement. Voici un
exemple :
1. Ici se dressait une tour haute de 200m. (rapport matériel).
2. Ici se dressait une tour d'une hauteur vertigineuse. (rapport sensuel).
3. Ici se dressai une tour, merveille de l'intelligence et de la beauté (rapport de valeur).
Le mieux est de savoir marier les trois, judicieusement !
Vous trouverez
des explications détaillées sur ce sujet dans mon livre Penser librement.
23 Octobre 2005
Conclusione
Lo scopo di questo elaborato era quello di presentare un’analisi il più possibile completa dell’opera di Phan Huy Duong Un amour métèque nel contesto della letteratura francofona della diaspora. Si è cercato di comprendere quali temi e quali caratteristiche formali della raccolta fossero comuni a altre opere di autori francofoni della diaspora e quali elementi fossero, invece, innovativi. Abbiamo potuto constatare come molti aspetti dell’opera di cui ci si è occupati sono presenti nella maggioranza degli scrittori francofoni, ad esempio il confronto tra la cultura orientale e quella occidentale, la sofferta condizione dell’esilio o la narrazione autobiografica. Tuttavia nelle novelle di Phan Huy Duong tali elementi sono rielaborati in modo originale in quanto egli vi apporta un importante contributo personale. In particolare si è trovato di grande interesse lo sperimentalismo narrativo dell’ultima novella, in cui l’alternanza tra prima e terza persona rispecchia la frammentaria identità del protagonista.
Per quanto lo studio da noi svolto sulla letteratura vietnamita della diaspora sia tutt’altro che esaustivo, già dalla sommaria analisi qui presentata ci si può rendere conto che in questa produzione letteraria il richiamo al Paese natale ricorre più di ogni altro elemento. Il titolo di questa tesi prende spunto proprio dal ruolo fondamentale del Vietnam nella raccolta di Phan Huy Duong come in molte altre opere della diaspora. Il Paese d’origine, infatti, emerge in molti testi sotto forma di ricordi frammentari, ormai lontani e sfocati nella memoria ma ancora in grado di generare sofferenza e inquietudine. Anche quando, in una novella come Un amour métèque, il protagonista sembra non avere più nulla a che fare con la propria Patria, “schegge di Vietnam” riemergono quasi a sottolineare le profonde radici che continuano a legarlo al Paese d’origine.
Bibliografia
- Cordier Georges, Étude sur la Littérature Annamite, Hanoi, Imprimerie Trung Bac, 1940.
- Anthologie de la littérature vietnamienne, Hanoi, Éditions en langues étrangères, 1975.
- Nguyên Khac Vien, Il Vietnam contemporaneo, Milano, editrice aurora, 1985.
- Mounier Jacques (présenté par), Exil et littérature, Grenoble, Équipe de Recherche sur le voyage, Université de Langues et Lettres de Grenoble, ELLUG, 1986.
- Nguyen Van Ky, La société vietnamienne face à la modernité, Clamecy, l’Harmattan, 1995.
- Triaire Marguerite, L’indochine à travers les textes, Hanoi, The Gioi, 1997.
- Entretien avec Phan Huy Duong. Quand la littérature effraie le pouvoir, realizzata da Emmanuel Deslouis per la rivista telematica “Eurasie”, 21 septembre 1998.
- Huu Ngoc, Sketches For a Portrait of Vietnamese Culture, The Gioi Publishers, Hanoi 1998.
- Kahn Alice e Toroni Janine, Nouvelles du Vietnam, à propos de la prose vietnamienne, Paris, Le Temps des cerises, 1999.
- Scagliotti Sandra, Saggi sul Vietnam, Torino, Celid 2000.
- Scagliotti Sandra, Una società in cammino. Spunti di riflessione in Viêt Nam. Guida, cultura e investimenti, a cura della Camera di Commercio di Torino, 2000.
- Montessoro Francesco, Vietnam. Un secolo di storia, Milano, Franco Angeli, 2000.
- Gasquy-Resch Yannick, Chevrier Jacques, Joubert Jean-Louis, Écrivains francophones du XX siècle, Paris, Ellipses, 2001.
- Hall Mitchell K., La guerra del Vietnam, Bologna, Il Mulino, 2003.
- Maino Fulvio, Economia di mercato ed economia socialista. La difficile sintesi del Viet Nam del Terzo Millennio. Fatti tendenze e risultuati dal 2002 al 2004, in «Quaderni Vietnamiti», Anno IX, n°2, 2004.
- Christopher E. Goscha, “Il barbaro moderno” Nguyen Van Vinh e la complessità della modernizzazione coloniale in Vietnam, in «Quaderni Vietnamiti», 2004.
[1] Per questo capitolo ci si è avvalsi della seguente bibliografia:
- Nguyên Khac Vien, Il Vietnam contemporaneo, Milano, editrice aurora, 1985.
- Scagliotti Sandra, Saggi sul Vietnam, Torino, Celid 2000.
- Scagliotti Sandra, Una società in cammino. Spunti di riflessione in Viêt Nam. Guida, cultura e investimenti, a cura della Camera di Commercio di Torino, 2000.
- Montessoro Francesco, Vietnam. Un secolo di storia, Milano, Franco Angeli, 2000.
- Hall Mitchell K., La guerra del Vietnam, Bologna, Il Mulino, 2003.
- Maino Fulvio, Economia di mercato ed economia socialista. La difficile sintesi del Viet Nam del Terzo Millennio. Fatti tendenze e risultuati dal 2002 al 2004, in «Quaderni Vietnamiti», Anno IX, n°2, 2004.
[2] Introduzione di Nguyen Khac Vien e Huu Ngoc a Anthologie de la littérature Vietnamienne, tome III, Hanoi, Éditions en langues Étrangères, 1975, pag 16.
[3] Ibid. pag 32.
[4] Huu Ngoc, Sketches For a Portrai of Vietnamese Culture, Hanoi, The Gioi Publishers, 1998.
[5] Introduzione di Nguyen Khac Vien e Huu Ngoc a Anthologie de la littérature Vietnamienne, tome II, Hanoi, Éditions en langues Étrangères, 1975, pag 47.
[6] Introduzione di Nguyen Khac Vien e Huu Ngoc a Anthologie de la littérature Vietnamienne, tome IV, Hanoi, Éditions en langues Étrangères, 1975, pag 13.
[7] Ibid. pag 13
[8] Phan Huy Duong e Sandra Scagliotti, Cenni sulla letteratura del Vietnam Contemporaneo, in Scagliotti Sandra, Saggi sul Vietnam, Torino, Celid 2000.
[9] Entretien avec Phan Huy Duong. Quand la littérature effraie le pouvoir, realizzata da Emmanuel Deslouis per la rivista telematica “Eurasie”, 21 septembre 1998.
[10] Ibid.
[11] Sulla questione dei Missing In Action vi è tuttora poca chiarezza e le informazioni reperibili a riguardo sono confuse e spesso contradditorie. Ci sembra comunque utile fornire qualche informazione essenziale a tale proposito.
Nel 1973, al termine del coinvolgimento militare diretto in Vietnam, l’esercito americano contava, secondo le fonti ufficiali, circa 58000 caduti e 100000 mutilati. A queste cifre andavano aggiunti disertori, prigionieri di guerra (POW, cioè Prisoners Of War), soldati deceduti durante il conflitto ma i cui corpi non erano stati recuperati (KIA e BRN, cioè Killed In Action e Bodies Not Recovered) e infine i dispersi, denominati Missing in Action (MIA). Secondo gli accordi di Parigi (27 gennaio 1973) tutti i prigionieri di guerra avrebbero dovuto essere rimpatriati. In effeti 591 POW furono recuperati durante l’operazione Homecoming nella primavera del 1973. Rimanevano però oltre 2000 soldati americani scomparsi. Sulla loro sorte non si ebbero mai informazioni chiare e definitive. Sia il governo americano che quello vietnamita negarono la possibilità che vi fossero ancora prigionieri nelle carceri vietnamite ma alcuni veterani rimpatriati al termine della guerra sostenevano il contrario. Tale possibilità ha generato nelle famiglie dei dispersi la speranza di poter ritrocare i loro cari. È nato così un vero e proprio racket di foto-trappole in cui fotomontaggi che ritraevano militari americani ancora in vita nei bagni penali del Vietnam erano presentati alle famiglie con lo scopo di estorcere loro cifre esorbitanti in cambio di informazioni fasulle o finte missioni di recupero. Nel 1994, con la fine dell’embargo, alcuni americani si recarono effettivamente in Vietnam cercando di ritrovare i loro familiari o informazioni su di essi.
[12] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994, pag. 26
[13] Ibid. pag 35
[15] Nadine Dormoy, articolo reperito sul sito: http://amvc.free.fr/PhanHuyDuong.htm.
[16] Citiamo le parole le parole di Phan Huy Duong tratte da una nostra intervista all’autore.
[17] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994, pag 13.
[18] Ibid. pag 51.
[19] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994, pag 48. La sottolineatura è nostra.
[20] Ibid. pag 30-35.
[21] Citiamo le parole le parole di Phan Huy Duong tratte da una nostra intervista all’autore.
[22] Cfr. Mounier Jacques (présenté par), Exil et littérature, Grenoble, Équipe de Recherche sur le voyage, Université de Langues et Lettres de Grenoble, ELLUG, 1986.
[23] Phan Huy Duong, Point de Rupture, Texte pour le livre Trajet à travers le cinéma de Robert Kramer, Institut de l’Image, Aix-en-Provence, 2001.
[24] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994,
[25] Ibid. pag 55
[26] Ibid. pag 84.
[27] Ibid. pag. 36
[28] Ibid. pag 51.
[29] Ibid. pag. 52.
[30] Ibid. pag 63-64.
[31] Phan Huy Duong, Diễn Ðàn – Forum n° 13, 07.1994
[32] Phan Huy Duong, Point de Rupture, Texte pour le livre Trajet à travers le cinéma de Robert Kramer, Aix-en-Provence, Institut de l’Image, 2001.
[33] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994, , pag 83-84.
[34] Ibid. pag 85
[36] Phan Huy Duong, Un amour métèque, Paris, éditions l’Harmattan, 1994, pag 56.
[37] Ibid, pag 57
[38] Ibid. pag 57
[39] Ibid. pag 55
[40] Ibid. pag 77.
[41] Ibid. Pag 56
[42] Citiamo le parole le parole di Phan Huy Duong tratte da una nostra intervista all’autore.